‘Capaci bis’, 4 ergastoli e un’assoluzione. Ora verso il terzo processo tra Spatuzza e Messina Denaro
MAFIA La Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta ha pronunciato la sentenza dopo undici ore di Camera di Consiglio
Quattro ergastoli e una assoluzione. E’ questo il verdetto emesso dalla Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta (foto) nei confronti dei cinque imputati accusati della strage di Capaci. Carcere a vita per Salvatore Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello, accusati di aver ricoperto un ruolo importante sia nella fase organizzativa sia nel reperimento dell’esplosivo utilizzato nella strage in cui morirono i giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della polizia Antonio Montinaro,Rocco Dicillo e Vito Schifani. Assolto Vittorio Tutino. La Corte, presieduta da Antonio Balsamo (foto) (a latere Graziella Luparello) ha pronunciato la sentenza dopo undici ore di Camera di Consiglio, accogliendo cosi’ parzialmente le richieste dei pubblici ministeri Lia Sava, Stefano Luciani, Gabriele Paci e Onelio Dodero, tutti presenti in aula, cosi’ come il nuovo procuratore Capo Amedeo Bertone. L’accusa aveva chiesto il carcere a vita per tutti. Tre dei cinque imputati hanno assistito alla lettura della sentenza collegati in videconferenza. Madonia e Lo Nigro hanno invece rinunciato. Le indagini erano state riaperte grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, ex mafioso di Brancaccio che ha fornito ai magistrati nisseni nuovi elementi per inchiodare quanti era rimasti fuori dalla ricostruzione emersa nel primo processo.
Nell’inchiesta anche le dichiarazioni di Fabio Tranchina. I pentiti hanno permesso di ridefinire le fasi preparatorie dell’attentato e in particolare avrebbero fatto luce su come venne reperito l’esplosivo, costituito soprattutto da tritolo, estratto dalle bombe della seconda guerra mondiale rimaste inesplose in fondo al mare di Porticello. In questo procedimento, denominato “Capaci bis” non e’ emersa la presenza di mandanti esterni a Cosa nostra ma il Pm Lia Sava ha gia’ annunciato un terzo processo in riferimento alle responsabilita’ di Matteo Messina Denaro per il quale la procura di Caltanissetta ha spiccato un ordine di cattura per le stragi del ’92. Piu’ volte Cosa nostra ha tentato di uccidere Falcone, ritenuto il nemico piu’ pericoloso da Cosa nostra, ma determinanti nel sentenziarne la morte, alla fine del ’91 durante una riunione della commissione provinciale convocata da Toto’ Riina in occasione degli auguri di Natale, furono gli esiti del maxiprocesso. Lo scorso 8 giugno, due ergastoli e una condanna a 30 anni di reclusione erano stati decisi dalla Corte, al termine del rito abbreviato: ergastolo per Giuseppe Barranca e Cristofaro “Fifetto” Cannella. Nessun sconto di pena per il collaboratore Cosimo D’Amato, condannato a 30 anni, al quale tuttavia sono state riconosciute le attenuanti generiche: per lui, la procura generale aveva chiesto uno sconto di pena a 9 anni e quattro mesi.
“E’ una sentenza che riconosce le ragioni dell’accusa anche se per una posizione c’e’ stata una assoluzione. Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza, ma siamo soddisfatti”. Parla il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone, presente in aula al momento della lettura della sentenza. “Possiamo confermare – ha aggiunto – che le dichiarazioni di Tranchina ma soprattutto quelle di Spatuzza hanno retto”. Soddisfazione e’ stata espressa anche dall’avvocato Francesco Crescimanno, legale della famiglia Falcone, costituitasi parte civile: “C’e’ un’assoluzione per una posizione minore. Tutto quello che andava fatto il tribunale lo ha fatto correttamente. Il castello accusatorio ha retto”. Chiuso il secondo capitolo, si annuncia gia’ il terzo. Non sono bastati due processi per fare luce su tutta la verita’ in ordine alla strage di Capaci. Ventiquattro anni dopo l’eccidio, oggi si e’ chiuso il ‘Capaci bis’ con 4 ergastoli e un’assoluzione. La Pm Lia Salva ha definito inevitabile un Capaci Ter, alla luce del ruolo del boss Matteo Messina Denaro – gia’ condannato all’ergastolo per le stragi del Continente del ’93 e per il quale la procura nissena ha recentemente emesso un ordine di cattura per i fatti drammatici del ’92 – e di altri tre indagati chiamati in causa dal nuovo collaboratore Cosimo D’Amato, il pescatore di Porticello che ha rivelato come l’esplosivo estratto dalle bombe ripescate in mare sia finito alla cosca di Brancaccio per essere utilizzato nella strage di Capaci. “La Procura di Caltanissetta non risparmiera’ energie e forze per cercare ulteriori verita’ in ordine ai fatti”, ha assicurato a questo proposito il nuovo procuratore Amedeo Bertone. Importante, in ordine alla ricostruzione delle responsabilita’ degli imputati riguardo alle fasi organizzative e di reperimento dell’esplosivo, certamente il ruolo dei pentiti, e segnatamente di Gaspare Spatuzza.
La ricostruzione di quanto successo a Capaci “e’ ripercorsa in maniera chiara dalle dichiarazioni rese da Spatuzza oltre che dagli esiti dei precedenti processi. La responsabilita’ degli imputati e’ chiaramente riscontrata dalle dichiarazioni di Spatuzza sulle fasi di recupero e preparazione dell’esplosivo utilizzato per l’attentato”, ha detto durante la requisitoria il pubblico ministero Stefano Luciani, per il quale “quanto dichiarato concorda sul recupero dell’esplosivo e dunque sul ruolo degli imputati. L’attendibilita’ dei collaboratori non viene messa in discussione”. La stagione stragista, e’ stato detto, escludendo il coinvolgimento di soggetti esterni, in particolare dei servizi segreti, “nasce dalla necessita’ di Cosa nostra di fare la guerra per fare la pace. Fu in questo contesto che la mafia diede il via agli attentati in Sicilia e nel Continente”. Un “disegno stragista”, ha detto Lia Sava, “che tra il 1992 e il 1993 diede forte impulso all’offensiva frontale nei confronti dello Stato”. Nella fase dibattimentale, aveva detto il collega dell’accusa, “sono emerse dichiarazioni generiche sulla presenza di soggetti dei servizi segreti, indicati senza volto e senza nome. Fra l’altro nessuno sarebbe stato in grado di indicarne il ruolo”.
Lo scenario “e’ suggestivo perche’ siamo in presenza di una melodia orecchiabile ma che non funziona. Queste dichiarazioni provengono da soggetti non palermitani, inseriti nei piani bassi di Cosa nostra. Nessun capo ha mai parlato di questi fatti. Nessun boss e’ in possesso di queste informazioni. E’ una costruzione investigativa improponibile”. Per il magistrato “sono diversi gli scenari in cui e’ maturata la strage di Capaci”. Contesti che si intrecciano fra loro. “Cosa nostra era pronta a sedersi a tavola per mangiare con politici e imprenditori. Da qui, la paura che il giudice Falcone mettesse le mani sul rapporto mafia e appalti. E non dimentichiamo gli esiti del maxi processo. Era il suo lavoro che dava fastidio alla mafia per cui andava eliminato”. Riina, ha argomentato la procura, “si era impegnato con tutta l’organizzazione criminale, a cambiare in Cassazione gli esiti del processo, perche’ sperava negli appoggi politici di Lima, Andreotti e Ciancimino. Cosa nostra temeva la conferma del teorema Buscetta e quindi che emergesse la presenza, nell’organizzazione criminale, di una struttura verticistica. Riina era certo che il processo venisse assegnato al giudice Carnevale, ma questo non avvenne perche in Cassazione, venne decisa una rotazione nell’assegnazione dei processi di mafia. In quest’ultimo aspetto Cosa nostra vide un protagonismo di Falcone”.