Due temi agitano i conciliaboli tra i parlamentari del Partito Democratico, alle prese con i dubbi sulla loro ricandidatura alle elezioni che potrebbero essere imminenti: il potere in mano al segretario Matteo Renzi di nominare i capolista bloccati – confermati dalla sentenza della Corte Costituzionale – e il limite di tre mandati imposto dallo Statuto del partito. Sul primo punto, la strada appare impervia: troppo convenienti per tutti i leader di partito, i capilista bloccati, perché ragionevolmente si possa immaginare un’intesa per eliminarli. La minoranza Pd insiste nell’armonizzazione dei sistemi di Camera e Senato, sperando che in quel tavolo si possa intervenire anche sui capilista bloccati che “se non scatta il premio di maggioranza, come è facilmente prevedibile, rischiano di essere la stragrande maggioranza degli eletti”. Se invece restassero, “vedremo se Renzi vorrà davvero dividersi i capilista con il resto della maggioranza del partito, cosa che noi nel 2013 non abbiamo fatto…”, ricorda un bersaniano. Ma a quel punto “sarebbe Renzi che fa la scissione dal Pd…”.
I TRE MANDATI Più facilmente aggirabile invece il limite dei tre mandati. Intanto c’è il precedente del 2013, quando l’interpretazione adottata fu che i tre mandati debbano intendersi come tre legislature ‘piene’, e dunque 15 anni: previsione che – se confermata – salverebbe tutti quei parlamentari che sono stati eletti la prima volta nel 2006. Ad esempio Gianni Cuperlo, Cesare Damiano, Emanuele Fiano, Andrea Orlando, Ettore Rosato – hanno tutti tre legislature alle spalle, ma per un totale di ‘soli’ 11 anni in Parlamento. Chi rischia davvero sono i parlamentari eletti la prima volta nel 2001 o prima: big del calibro di Dario Franceschini, ministri e membri del governo come l’attuale premier Paolo Gentiloni, Marco Minniti, Roberta Pinotti, Anna Finocchiaro, Antonello Giacomelli, Gianclaudio Bressa, parlamentari di peso come Luigi Zanda, Rosy Bindi, Beppe Fioroni, Roberto Giachetti, Michele Meta o Marina Sereni. Ma non Pierluigi Bersani: pur se eletto dal 2001, l’ex segretario può infatti contare su una ‘pausa’ tra il 2004 e il 2006, quando si dimise da deputato per andare all’Europarlamento. Nel suo curriculum, dunque, gli anni da parlamentari sono ‘solo’ 14. Per tutti gli altri, invece, l’unica strada è la deroga, che può essere concessa dalla Direzione del partito “soltanto sulla base di una relazione che evidenzi in maniera analitica il contributo fondamentale che, in virtù dall`esperienza politico-istituzionale, delle competenze e della capacità di lavoro, il soggetto per il quale viene richiesta la deroga potrà dare nel successivo mandato all`attività del Partito Democratico”. Deroga che deve essere richiesta dal diretto interessato.