Le associazioni per i diritti umani hanno più volte denunciato le condizioni disumane in cui fu a lungo detenuta, prima del processo: per mesi, fu costretta a 23 ore al giorno in isolamento, denudata per lunghi periodi e costretta a rispondere all’appello delle guardie ogni cinque minuti, ventiquattro ore su ventiquattro. In occasione del sesto anniversario, Manning ha pubblicato un post su Medium, in cui ha scritto: “Una cosa rimane chiara: è importante leggere tutto, assorbire tutto, essere il proprio filtro per le informazioni, cercare le proprie risposte alle domande. Se contiamo sugli altri affinché selezionino le informazioni per noi, non potremo dire di aver veramente capito perché abbiamo fatto quello che abbiamo fatto e dove andremo. Non potremo capire il mondo con le informazioni filtrate da una lente”. “Questo appello (contro la sua condanna, ndr) riguarda più della mia persona, riguarda lo spaventoso precedente per chi in futuro dirà la verità, per gli informatori, per i giornalisti. Riguarda la libertà di parola e la libertà di stampa. Riguarda il vostro diritto a conoscere la verità, ad avere accesso alle informazioni necessarie per permetterci, come società, di prendere decisioni consapevoli”.