Caro Luigi Di Maio, lei ha ragione: la gratitudine è un sentimento raro in politica. E quindi sono comprensibili gli applausi che ha ricevuto quando, nel suo discorso di dimissioni da leader del Movimento 5 stelle, ha tuonato contro i “sabotatori interni”, contro chi “è stato eletto grazie a una votazione su Rousseau e, una volta ottenuta la poltrona, ha cominciato a criticare Rousseau”, o contro chi “critica ma non si è mai preso una responsabilità”. Eppure c’è una cosa che è mancata nei 45 minuti e oltre con cui ha comunicato il suo passo indietro. Ed è l’autocritica.
Sì, è vero, ha giustificato la poca o nulla condivisione delle decisioni che via via prendeva, il maggior appunto che le hanno fatto i contestatori, con la necessità di evitare fughe di notizie e di non vanificare il raggiungimento degli obiettivi. Però dovrebbe chiedersi se questo non strida con il continuo richiamo fatto, nel suo discorso, al concetto di fiducia. “Nel movimento la fiducia è fondamentale” ha detto, “e io mi fido di tutti voi, anche di chi non conosco”. Se fosse vero, allora, perché in questi due anni e mezzo di reggenza non ha fatto altro che circondarsi di fedelissimi, lasciando le briciole a chi con lei non vantava un rapporto di amicizia? Se davvero si fidava di tutti, perché premiare sempre i soliti Fraccaro, Bonafede, Spadafora, sostanzialmente il suo cerchio magico, e non provare mai ad allargare la mappa del potere anche a chi non la pensava come lei?
C’è un’altra cosa: ha detto che è vergognoso che alcuni sindaci 5 stelle siano stati traditi dai loro stessi consiglieri. E’ vero, ma non crede che se lei si fosse interamente dedicato alla guida del Movimento, senza accumulare contemporaneamente cariche impegnative e dispendiose – pluriministro, vicepremier, tesoriere, capodelegazione al governo – avrebbe potuto in qualche modo difendere meglio i suoi sindaci, vigilare su quello che accadeva nell’organizzazione a ogni livello, essere più presente nei luoghi in cui mano mano si manifestava il disagio? Lo tenga a mente, caro Di Maio, perché se un giorno volesse riproporsi come leader, sarebbero questi gli insegnamenti da trarre dalla sua prima esperienza. Non sarà difficile, basterà rileggere con attenzione il suo stesso discorso: è questione di fiducia.