Qualche decennio fa per investire in casinò ad Atlantic City e costruire palazzi monumentali a New York era necessario avere legami con il crimine organizzato. E Donald Trump, candidato repubblicano alla presidenza Usa, pare ne avesse molti. È la tesi sostenuta dal Wall Street Journal che ha pubblicato una lunga inchiesta sulla carriera dell’imprenditore statunitense. Tutto sembrerebbe cominciare da un episodio del 1981 quando – scrive il quotidiano finanziario – Trump era seduto a un tavolo con alcuni agenti federali e parlava della sua volontà di entrare nel mondo dei casinò ad Atlantic City, un settore completamente gestito dalla mafia, soprattutto quella italiana. Sembrava volesse evitare di immischiarsi con gli ambienti loschi del gioco d’azzardo, eppure, pare che il candidato repubblicano alla fine abbia scelto metodi più semplici per entrare nel business. Di casinò ne ha prima costruito uno, poi è arrivato a possederne quattro, anche se non stanno andando benissimo negli ultimi anni. Secondo quanto racconta il Wall Street Journal, tra le frequentazioni poco limpide di Trump c’erano un affiliato alla mafia di Philadelphia, un giocatore d’azzardo condannato per frode fiscale, un leader sindacale riconosciuto colpevole di racket e un costruttore condannato per un affare in cui era coinvolta la mafia.
Trump ha riconosciuto in un’intervista di aver lavorato a volte con persone che potrebbero aver avuto legami poco chiari con mafiosi, ma ha sempre detto di aver avuto solo rapporti superficiali con loro. “Se le persone fossero come me, non ci sarebbe la mafia, perché io non faccio il loro gioco”, aveva detto il candidato del Grand old party in una intervista. Eppure gli esperti del settore immobiliare e affaristico dicono che negli anni in cui Trump ha costruito la sua fortuna era impossibile concludere qualcosa senza entrare in contatto (e presumibilmente a patti) con la criminalità organizzata, soprattutto perché la mafia arrivava ovunque, anche all’interno del sindacato dei lavoratori dell’edilizia, che era praticamente controllato dalle cosche. Ed è quello che dichiara anche Michael Codym, figlio di un leader sindacale legato alla mafia: “Trump non avrebbe potuto costruire i suoi edifici senza avere quei legami. Ogni costruttore di New York ha dovuto farlo in quel momento”. Nella sua lunga inchiesta, il Wall Street Journal ha esaminato migliaia di pagine di documenti legali e societari e ha intervistato decine di colleghi di lavoro di Donald Trump. Documenti e testimonianze che sembrano avvalorare le ipotesi di legami passati tra il candidato repubblicano e la mafia.