Cronaca

Chiara Ferragni accusata di truffa aggravata: “Ingiusto profitto 2,2 milioni”

La Procura di Milano ha ufficialmente chiuso l’indagine riguardante l’influencer Chiara Ferragni, accusata di truffa continuata e aggravata per aver presumibilmente tratto un illecito profitto da alcune operazioni commerciali presentate al pubblico come iniziative benefiche. Nel mirino della magistratura, sotto la guida del procuratore Marcello Viola, sono finite due campagne pubblicitarie in particolare: la sponsorizzazione del “Pandoro Balocco Pink Christmas, Limited Edition Chiara Ferragni” nel Natale del 2022, e quella delle “Uova di Pasqua Chiara Ferragni – sosteniamo i Bambini delle Fate”, promosse durante le festività pasquali del 2021 e del 2022.

Le accuse e gli indagati

Oltre all’influencer, altre figure di rilievo sono coinvolte nell’indagine: Fabio Damato, ex collaboratore stretto di Ferragni; Alessandra Balocco, presidente e amministratore delegato dell’omonima azienda dolciaria cuneese; e Francesco Cannillo, patron dell’azienda Dolci Preziosi. I militari della Guardia di Finanza hanno notificato l’avviso di chiusura delle indagini a tutti gli indagati, un atto che solitamente precede una richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura.

Secondo il procuratore Viola, le indagini hanno permesso di ricostruire un quadro di “comunicazioni di natura decettiva”, finalizzate a indurre in errore i consumatori riguardo il collegamento tra l’acquisto dei prodotti pubblicizzati e le attività benefiche promosse. Le società riconducibili a Chiara Ferragni avrebbero ottenuto un “ingiusto profitto” di oltre 2,2 milioni di euro da queste operazioni commerciali. Il documento di chiusura delle indagini evidenzia come gli indagati abbiano sfruttato la loro immagine pubblica per veicolare informazioni fuorvianti, suggerendo un legame tra i prodotti e il sostegno ad alcune iniziative benefiche, quando in realtà il collegamento tra le due sfere era estremamente limitato.

Il caso del Pandoro Balocco Pink Christmas

Uno dei casi principali su cui si è concentrata l’indagine riguarda la vendita del “Pandoro Balocco Pink Christmas, Limited Edition Chiara Ferragni”. I magistrati affermano che la vendita di oltre 362.577 pandori avrebbe generato un ingiusto profitto di oltre 1 milione di euro a favore di due società riconducibili a Ferragni: la TBS Crew s.r.l. e la Fenice s.r.l. La pubblicità che accompagnava il pandoro faceva leva sul fatto che parte dei proventi sarebbe stata destinata a finanziare le attività dell’Ospedale Regina Margherita di Torino, uno degli istituti pediatrici più importanti d’Italia.

Tuttavia, secondo la Procura, la realtà dei fatti sarebbe stata diversa. Il legame tra l’operazione commerciale e l’ospedale si sarebbe limitato a un pagamento una tantum di 50.000 euro da parte dell’azienda Balocco, senza alcuna correlazione con i profitti derivanti dalla vendita del pandoro. L’incremento del prezzo del “pandoro Chiara Ferragni”, venduto a circa 9,37 euro per confezione rispetto ai 3,68 euro di quello tradizionale, avrebbe rafforzato nel pubblico la convinzione che la differenza di prezzo fosse destinata alla beneficenza, inducendo quindi in errore i consumatori.

L’operazione delle Uova di Pasqua Dolci Preziosi

Situazione simile si è verificata con le uova di Pasqua firmate da Chiara Ferragni, promosse come un’iniziativa a favore della Fondazione “I Bambini delle Fate”, una realtà che sostiene progetti a favore di bambini affetti da autismo e altre disabilità. Anche in questo caso, i magistrati milanesi hanno ricostruito un ingiusto profitto a favore dell’influencer e delle sue società, quantificato in 1,15 milioni di euro. Gli introiti sarebbero stati suddivisi in due tranche: una prima da 400.000 euro, versati a Sisterhood s.r.l. e Fenice s.r.l., e una seconda da 750.000 euro, accreditati a TBS Crew s.r.l. e Fenice s.r.l.

Anche per le uova di Pasqua, l’accusa sostiene che la pubblicità promossa sui social media e online avrebbe fornito informazioni fuorvianti, inducendo i consumatori a credere che una parte significativa delle vendite fosse destinata alla beneficenza. Le campagne pubblicitarie, invece, avrebbero avuto l’obiettivo primario di generare profitti a beneficio delle società dell’influencer e degli altri soggetti coinvolti.

Le reazioni della difesa

I legali di Chiara Ferragni, Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana, hanno prontamente replicato alle accuse, sottolineando come la vicenda, a loro avviso, non abbia alcuna rilevanza penale. In una nota ufficiale, i difensori hanno dichiarato che i profili controversi legati alle operazioni commerciali erano già stati affrontati e risolti in sede di Agcm (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), e che avvieranno un confronto con i Pubblici Ministeri per dimostrare l’estraneità della loro assistita rispetto alle accuse di truffa.

“La nostra assistita ha piena fiducia nel lavoro della magistratura,” affermano Iannaccone e Bana, “e siamo certi che verrà dimostrata l’innocenza di Chiara Ferragni quanto prima”. Gli avvocati confidano in una risoluzione rapida della vicenda, sostenendo che le iniziative commerciali promosse dall’influencer non avevano intenti truffaldini e che le stesse si sarebbero svolte nel rispetto della normativa vigente.

Il contesto e le prospettive future

Questa vicenda ha sollevato un dibattito su come le operazioni commerciali promosse da influencer di fama mondiale, con un grande seguito sui social media, possano confondere i consumatori, specialmente quando vengono presentate come iniziative benefiche. La capacità di creare engagement emotivo e di veicolare messaggi filantropici tramite i canali social può essere uno strumento potente, ma anche rischioso, se utilizzato per mascherare intenti commerciali.

L’inchiesta della Procura di Milano, che potrebbe portare al rinvio a giudizio degli indagati, apre uno scenario importante sulle responsabilità degli influencer e delle aziende che collaborano con loro nel garantire trasparenza e correttezza nelle loro operazioni commerciali. Allo stesso tempo, la difesa di Chiara Ferragni punta a dimostrare come le operazioni incriminate non siano state condotte con dolo e come la fama dell’influencer abbia forse contribuito a ingigantire una vicenda che, secondo i legali, ha più aspetti di carattere civilistico e commerciale che penale.

Nel frattempo, l’opinione pubblica resta in attesa degli sviluppi giudiziari, con un’attenzione crescente verso il rapporto tra beneficenza e business nel mondo del marketing digitale e delle celebrità online.

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