Serve un salvagente per il settore automobilistico in piena crisi. E dal cilindro, esce Cassa depositi e prestiti. L’idea è del Comitato per la sicurezza della Repubblica (Copasir) e messa nero su bianco nella relazione sull’attività 2021 dello stesso organo parlamentare. In pratica, in un passaggio del documento dedicato all’impatto della transizione ecologica sulla filiera automobilistica “tra le più importanti nel panorama industriale italiano”, si rimarca che in merito alla costituzione di Stellantis, il produttore di veicoli nato dalla fusione di Fiat Chrysler Automobiles con il gruppo francese Psa, “si registra uno spostamento del baricentro di controllo del neo costituito gruppo sul versante francese, con ricadute già evidenti nel settore dell’indotto connesso con le linee di produzione degli stabilimenti italiani”. E così “al fine di preservare gli interessi nazionali nell’industria automobilistica, le cui ramificazioni risultano estremamente significative nel panorama economico nazionale, potrebbe essere valutato — suggerisce il Copasir — un interessamento di Cassa depositi e prestiti, il cui eventuale ingresso nel gruppo industriale potrebbe favorire un ribilanciamento di pesi tra la componente francese e quella italiana, così proteggendo le tecnologie e l’occupazione”.
Tradotto in cifre, se si somma il 6,5% in mano allo Stato francese con l’8,5% dei Peugeot (che possono passare dal 7,2% attuale, acquistando la differenza dai cinesi di Dongfeng o sul mercato), il totale in mano agli azionisti francesi risulterebbe del 15% contro il 14,4% di Exor, la società che fa capo alla famiglia Agnelli-Elkann. Da qui il salvagente. D’altronde, è indubbio che i nostri politici abbiano una gran voglia di intervento dello Stato. L’idea che sembra prevalere è che dovunque ci sia un’azienda rilevante in crisi o una partita cruciale per il paese ci sia la necessità dell’intervento pubblico. Non avendo le risorse, lo Stato si avvale perlopiù del braccio armato della Cdp che è fuori dal perimetro dei conti pubblici e gode quindi di maggiore autonomia: si finanzia – in parte – sul mercato e utilizza – in larga misura – le risorse che provengono dal risparmio postale degli italiani.
Ed è proprio qui che casca l’asino: occhio a non sperperare i risparmi degli italiani. Tuttavia, pare non tramontare mai l’idea di trasformare la Cdp in una sorta di Istituto per la Ricostruzione Industriale, il celeberrimo Iri. Infatti, negli ultimi anni s’è tirata fuori più volte la carta Cdp. Ricordiamo il caso Alitalia, immagine del nostro paese nel mondo e che dopo un fiume di denaro buttato al vento, s’è trasformata in cenere. In questa occasione, si era parlato più volte di un intervento della Cdp che alla fine ha preferito tenersene fuori per non bruciare risorse dei contribuenti. Cassa depositi e prestiti che invece ha messo mani su Autostrade per l’Italia, l’operatore autostradale, di cui la holding dei Benetton ha venduto al consorzio guidato, per l’appunto, da Cdp l’88% del capitale. Non sarà facile con Dario Scannapieco, l’amministratore delegato e direttore generale di Cdp chiamato dal premier Mario Draghi, usare la cassaforte con oltre 500 miliardi di attivo, controllata (82%) dal ministero del Tesoro, come “bancomat”. Ma staremo a vedere.