Dopo il referendum sull’indipendenza di ieri, per quanto costituzionalmente illegale e dai risultati discutibili – dati anche gli ostacoli frapposti dal governo centrale – per la Catalogna e per la Spagna a partire da oggi si aprono diversi scenari politici. – Una dichiarazione unilaterale di indipendenza (Dui): era l’obbiettivo dichiarato del “processo”, tuttavia più simbolico che reale dal momento che anche in presenza di ogni garanzia elettorale senza un previo accordo con Madrid un riconoscimento internazionale appare allo stato del tutto improbabile. In particolare i conservatori del Pdecat sono sempre stati più inclini a un autonomismo rafforzato e sia la leadership di Artur Mas – che ha invitato a non “reagire a caldo” all’esito del voto – che quella di Carles Puigdemont hanno a volte dato l’impressione di farsi trascinare da un’opinone pubblica spesso un passo in avanti rispetto al partito. Di contro, l’indipendenza (e sotto forma di Repubblica) è sempre stato l’obbiettivo storico della sinistra di Esquerra Republicana, che rischia di perdere credibilità se non venisse fatto almeno un tentativo di principio di imporre lo sbocco annunciato di un successo referendario, quali che ne siano i limiti di credibilità. Il fronte indipendentista rischia dunque di fratturarsi, anche nel caso in cui si scegliesse di capitalizzare la mobilitazione popolare in un modo diverso, ovvero convocando elezioni regionali anticipate.
Elezioni regionali anticipate: rinunciando alla Dui, l’obbiettivo sarebbe quello di rafforzare il voto indipendentista presentando a Madrid un fronte compatto con una percentuale di voti maggiore del 48% ottenuto due anni fa, grazie al convincimento di molti moderati che – visto quanto accaduto negli utlimi giorni – dal governo centrale non è lecito attendersi alcuna concessione. L’incognita è tuttavia la tenuta di tale fronte: un ricorso alle urne potrebbe alterare l’equilibrio fra i due partiti principali, Pdecat ed Erc, e i calcoli elettorali potrebbero avere la meglio su una causa comune che a livello di base appare oggi solida e trasversale ma che come già detto i due partiti interpretano in fondo in modo diverso.
Elezioni nazionali anticipate (2): malgrado gli annunci di vittoria il governo del premier conservatore Mariano Rajoy esce dal primo ottobre con le ossa rotte. Non solo, nonostante i molteplici annunci della vigilia, il referendum non è stato reso impossibile, ma al momento del voto ha autorizzato – tramite la magistratura – un utilizzo della forza che ha dato anche all’estero un’immagine estremamente negativa della politica di Madrid. Rajoy si trova quindi ad aver sbagliato completamente l’approccio al problema e se non decide di aprirsi al dialogo può solo fare ricorso ad un’ulteriore repressione, legale o amministrativa, una strategia che può solo portare all’inasprimento di una crisi creata in ultima analisi dal suo stesso partito. Tuttavia una crisi di governo non è un esito scontato: l’esecutivo è sì di minoranza, ma la sua esistenza è garantita solo dall’istituto della critica costruttiva, che rende necessario un accordo fra socialisti, Podemos e altri partiti minori (anche sul premier). Il Psoe di Pedro Sanchez tuttavia si è limitato a condannare – sia pure in modo assai sfumato – le cariche della polizia, ma ha attribuito la responsabilità della crisi ad entrambe le parti, lanciando l’ennesimo appello a un dialogo per il quale a dir la verità all’atto pratico i socialisti – la cui base elettorale oggi si trova soprattutto in quelle regioni che più hanno da perdere economicamente da una secessione catalana – hanno dato un sostegno più di principio che altro.
Dialogo fra le parti: sempre che si trovino degli interlocutori disposti ad avviarsi su questa strada, non appare un esito immediato dato che tutte le parti in causa hanno preoccupazioni elettorali a cui pensare in un panorama politico estremamente frazionato in cui ogni voto conta. Tuttavia, magari con all’orizzonte quel “modello basco” di autofinanziamento cui aspirava l’élite politica catalana e in una veste più federalista, un accordo potrebbe finire con l’essere trovato, sempre che la base sociale dell’indipendentismo non sia ormai andata troppo avanti per accettare un compromesso politico che solo dieci anni fa avrebbe garantito probabilmente una stabilità duratura dei rapporti fra Madrid e Barcellona.