Chi è Mohammed al-Jolani, il nuovo leader dei ribelli siriani

Capo di una formazione terroristica o statista in erba? VIDEO

Mohammed al-Jolani

Nel complesso e sanguinoso panorama della guerra civile siriana, pochi nomi sono stati altrettanto controversi quanto quello di Abu Mohammad al-Jolani, leader del gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Con una storia che mescola radicalismo islamista, ambizioni politiche e trasformazioni personali, al-Jolani incarna un paradosso frequente in Medio Oriente: l’incrocio tra il terrorismo e l’aspirazione a uno status politico riconosciuto.

Dalle origini all’ascesa jihadista

Ahmed al-Shareh, vero nome di al-Jolani, nacque nel 1982 a Mazzé, un quartiere benestante di Damasco. Cresciuto in una famiglia agiata, iniziò a studiare medicina, ma la sua traiettoria cambiò radicalmente all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. Secondo fonti come Middle East View, fu in quel periodo che iniziò a frequentare circoli clandestini legati al jihadismo.

Dopo l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003, al-Jolani si unì ad Al-Qaeda in Iraq, dove costruì una reputazione di combattente leale e carismatico. Fu imprigionato per cinque anni, ma la sua liberazione coincise con l’inizio della rivolta siriana nel 2011, evento che gli offrì un’opportunità di consolidare il suo ruolo nel nascente panorama ribelle. Fondò così il Fronte al-Nosra, gruppo affiliato ad Al-Qaeda, ma nel 2017 ruppe formalmente con quest’ultima per guidare Hayat Tahrir al-Sham, cercando di distanziarsi dall’immagine di un’organizzazione puramente jihadista.

La metamorfosi di al-Jolani

Negli anni, al-Jolani ha operato un notevole cambio di immagine. Dall’indossare turbanti tipici dei combattenti jihadisti, è passato a uniformi militari e, occasionalmente, abiti civili. Questo mutamento non è solo estetico, ma riflette una strategia pragmatica per aumentare la legittimità politica di HTS, che controlla la provincia di Idlib e, più recentemente, Aleppo.

HTS, nonostante le accuse di crimini di guerra e abusi sui diritti umani, ha implementato un’amministrazione civile nei territori sotto il suo controllo, con iniziative volte a guadagnare consenso tra le minoranze, come i cristiani locali. Questo ha fatto emergere una contraddizione: mentre il gruppo mantiene tratti autoritari, cerca di presentarsi come forza di stabilità in un paese devastato dalla guerra.

Radicale pragmatico o opportunista?

Le opinioni su al-Jolani sono profondamente divergenti. I suoi sostenitori lo vedono come un leader capace di adattarsi e di guidare un movimento verso un governo istituzionale in Siria. I suoi oppositori, invece, lo descrivono come un opportunista che sfrutta la guerra per accrescere il proprio potere. Indipendentemente dalle interpretazioni, le capacità di al-Jolani, sia militari che politiche, sono difficili da ignorare.

Resta da vedere se riuscirà a concretizzare le sue ambizioni politiche in un contesto in cui il suo passato da leader di un’organizzazione designata come terroristica pesa come un macigno. L’evoluzione di al-Jolani continua a essere uno specchio delle complessità del Medio Oriente, dove la linea tra terrorista e statista rimane spesso sfocata, ma è determinata non solo dalle intenzioni dei leader, ma anche dalle dinamiche geopolitiche globali.