Chiara Ferragni, un buco da 10 milioni di euro. La Fenice trema: oggi è il giorno della verità

Chiara Ferragni

Chiara Ferragni

Un buco da dieci milioni di euro, ricavi polverizzati e una guerra tra soci che potrebbe essere l’atto finale. L’impero di Chiara Ferragni, costruito a colpi di like e sponsorizzazioni milionarie, è sull’orlo dell’abisso. Oggi, 10 marzo, è il giorno X per Fenice, la società che custodisce i marchi della regina dei social: due assemblee decisive – una ordinaria per approvare il bilancio 2023, fermo da mesi in un cassetto, l’altra straordinaria per una ricapitalizzazione da ultima spiaggia – diranno se c’è ancora speranza o se il sogno è finito. Il Corriere della Sera squarcia il velo: conti in rosso sangue, debiti che strangolano e un’immagine pubblica ridotta a brandelli. La Fenice barcolla, e con lei il destino di un’icona che ha fatto della sua vita un business planetario.

Il Pandorogate: da apice a baratro

Ripercorriamo la parabola. Nel 2022, Fenice chiudeva i conti con 14 milioni di euro di ricavi, un trionfo che consacrava Ferragni come Mida del digitale. Poi, il terremoto: il Pandorogate. Lo scandalo del pandoro Balocco – una campagna promozionale finita sotto la scure dell’Antitrust per presunte irregolarità – ha fatto crollare il castello di carte. Sanzioni, accuse, mea culpa tardivi: l’onda d’urto è stata devastante. Nel 2023 i ricavi tengono ancora a 11-12 milioni, ma nel 2024 il tracollo è verticale: meno di 2 milioni. Le perdite? Oltre 10 milioni in due anni, un salasso che ha mandato in fumo il patrimonio netto.

E non è tutto: un milione di follower evaporati su Instagram in 12 mesi, sponsorizzazioni svanite nel nulla e un divorzio da Fedez – anche lui in calo, con 850 mila seguaci persi – che ha trasformato la coppia d’oro in un ricordo sbiadito. Non bastasse, il 2024 ha portato altri guai: la polemica sulle uova di Pasqua sponsorizzate e, il 29 gennaio 2025, il rinvio a giudizio per il Pandorogate. Ferragni ha provato a tamponare l’emorragia con una donazione da 1,2 milioni di euro – “Non è una sanzione”, ha precisato – e una pace siglata con Codacons il 28 dicembre 2024. Ma il danno è fatto: la sua credibilità è un cumulo di macerie, e Fenice ne paga il prezzo.

Assemblee al calor bianco: la resa dei conti

Oggi Claudio Calabi, amministratore unico di Fenice, entra in scena con un fardello pesantissimo. Sul tavolo dell’assemblea ordinaria c’è il bilancio 2023, un documento che arriva con un ritardo imbarazzante e che fotografa l’inizio della crisi. Poi, nell’assemblea straordinaria, il piatto forte: una ricapitalizzazione per rimettere in piedi una società con l’acqua alla gola. Calabi presenterà una situazione patrimoniale aggiornata al 30 novembre 2024 e una pila di carte che giurano sulla continuità aziendale. Ma convincere i soci non sarà una passeggiata.

Il terzetto al comando di Fenice è composto da Chiara Ferragni (32,5%), Paolo Barletta (40%) e Pasquale Morgese (27,5%). Sulla carta, Ferragni e Barletta hanno i numeri per imporre la loro linea: il 72,5% basta e avanza per approvare bilancio e aumento di capitale. Ma Morgese, stando a fonti del Corriere, è una mina vagante. L’imprenditore pugliese delle calzature non ci sta: contesta i numeri, mette in dubbio la sostenibilità del progetto e vede il marchio Ferragni come un peso morto, non più un asset. “Troppo rischioso”, avrebbe confidato ai suoi. La sua mossa? Votare no al bilancio e, se passa, impugnarlo in tribunale. Una dichiarazione di guerra che potrebbe aprire un contenzioso infinito.

Un rilancio possibile o un’illusione?

In questo scenario da Far West societario, c’è chi prova a guardare oltre. Voci vicine ai soci, riportate dal Corriere, parlano di spiragli: il brand Ferragni potrebbe puntare su make-up, pelletteria e gioielleria, con un occhio ai mercati esteri. Un piano ambizioso, che però ha un prerequisito inderogabile: la ricapitalizzazione. Senza soldi freschi, Fenice è un morto che cammina. Se oggi l’aumento di capitale passa, si apre uno spiraglio per il rilancio. Se salta, il collasso è dietro l’angolo, e con esso la fine di un ecosistema economico che ruota attorno all’influencer.

Il clima è da resa dei conti. Morgese potrebbe essere l’ago della bilancia: se si tira indietro, Ferragni e Barletta possono comunque coprire le quote – le casse di Barletta, imprenditore di peso, non sono certo vuote – ma un’azione legale del socio di minoranza farebbe tremare le fondamenta già fragili della società. E mentre i soci si sfidano, il tempo stringe: Fenice ha bisogno di ossigeno, e lo ha bisogno ora.

Ferragni sotto assedio: un’icona al bivio

Il 2024 è stato un massacro per Chiara Ferragni. Il Pandorogate l’ha colpita al cuore, la separazione da Fedez – “Questa crisi è più forte delle altre”, ha ammesso lei il 4 marzo 2024 – ha fatto il resto. I follower scappano, i brand si defilano, l’aura di intoccabilità si è dissolta. Oggi non è solo il giorno di Fenice: è il giorno di Chiara. Se la società crolla, perde il motore del suo impero. Se resiste, potrebbe essere l’inizio di una risalita lunga e tortuosa. Ma serve un miracolo: ricostruire un’immagine distrutta, riconquistare un pubblico che non perdona, rilanciare un marchio che molti, oggi, vedono come radioattivo.

Insomma, il 10 marzo 2025 potrebbe entrare nei libri di storia digitale. Sarà la fine di un’era, quella della Ferragni invincibile, o il primo capitolo di una redenzione? Le assemblee di domani daranno la risposta. Intanto, a Milano, si respira aria di tempesta. E Chiara Ferragni, per la prima volta, sembra davvero sola.