L’imponente, geometrico sfarzo della sessione annuale dell’Assemblea nazionale del popolo che si è aperta oggi a Pechino nasconde il fatto che tutto è già stabilito e deciso. Eppure, in un paese come la Cina, la ritualità è importante, soprattutto in un’assise dalla portata storica perché chiamata a eliminare il limite dei due mandati per il presidente Xi Jinping, lasciandogli teoricamente la possibilità di regnare a vita, e a ribadire e rafforzare la centralità del Partito comunista cinese. I circa 3mila delegati provenienti da tutto il paese e da tutte le componenti etniche e sociali, hanno ascoltato con attenzione oggi le 36 pagine di relazione del premier Li Keqiang, avendo in mente la linea dettata da Xi il quale, ieri, ha definito il sistema di consultazione che ha al centro il Partito comunista cinese “un grande contributo alla civiltà umana”. Una missione civilizzatrice che rievoca tempi in cui la Cina era il “Paese del Centro”, la potenza fulcro dei grandi traffici euroasiatici. Un’epoca, questa, che il leader di Pechino vuole riesumare, anche attraverso politiche come “One Belt One Road” che punta alla riapertura delle antiche Vie della Seta. Li ha parlato di temi estremamente concreti per due ore. E’ l’uomo che guida la macchina, mentre Xi è colui che decide la rotta. Ha parlato della crescita ponendo l’obiettivo di quest’anno al 6,5 per cento, un dato in frenata rispetto al passato ma perfettamente in linea con la nuova normalità che Xi aveva annunciato. Ha parlato di contenimento del debito pubblico, ma senza tagliare la spesa per infrastrutture necessaria per portare la Cina all’avanguardia del XXI secolo. Ha annunciato un atteso incremento, particolarmente robusto, della spesa militare che aumenterà dell’8,1 per cento.
Ha denunciato la spinta protezionista del presidente americano Donald Trump, ponendo la Cina socialista come avanguardia del libero mercato e assicurando che manterrà aperte le porte agli investimenti stranieri. Ha ribadito che non tollererà spinte indipendentiste a Taiwan, l’isola contesa. Ha confermato l’impegno a sconfiggere la povertà. Non c’è tuttavia dubbio che gli occhi della stampa internazionale e dei cinesi sia sulla riforma costituzionale decisa dalla leadership, adottata dal XIX Congresso del Pcc dello scorso anno e proposta la scorsa settimana dal Comitato centrale del Pcc. Una riforma che elimina il limite dei due mandati per la presidenza, aprendo la strada alla conferma di Xi Jinping potenzialmente a vita e mandando in soffitta un sistema di guida collettiva del partito che sopravviveva dai tempi di Deng Xiaoping. Il limite di due mandati fu inserito in Costituzione 36 anni fa. La Quinta Generazione, che ha in Xi la sua punta di diamante, non lascia insomma il vertice alla Sesta. Corollario di questo fatto politico è l’iscrizione della dottrina di Xi e de suo stesso nome – onore finora riservato solo al fondatore Mao Zedong e a Deng – nella Costituzione. C’è un complessivo modo d’intendere il potere che viene superato dalla mossa di Xi. Quando il limite dei mandati fu adottato – ricorda oggi sul South China Morning Post di Hong Kong l’analista Shiu Sin Por della New Paradigm Foundation – l’obiettivo era quello d’impedire che si ripetessero gli eccessi della Rivoluzione culturale (1966-1976), che aveva avuto alla sua base proprio il culto della personalità e il potere a vita di Mao.
Shiu, in realtà, cita il parallelismo in negativo, sostenendo che in fondo la carica di Presidente della Cina è soprattutto cerimoniale e che per le altre due cariche sulle quali veramente si fonda il potere – segretario del Partito comunista cinese e presidente della Commissione militare centrale – il limite dei due mandati non esisteva neanche prima. Va tuttavia sottolineato che, tra le riforme di Xi, c’è stata anche quella della governance dell’Esercito di liberazione del popolo, che ha trasformato il suo ruolo in uno paragonabile al “commander-in-chief” americano. E che la riforma costituzionale rafforza ulteriormente la centralità del Partito, e quindi del suo segretario. C’è un vago sapore “populista”, in fondo, anche nell’azione politica di Xi, in particolare sul tema della lotta alla corruzione, che potrebbe rievocare, sia pur molto alla lontana per modalità e obiettivi, una certo clima “da Rivoluzione culturale”. Nella costruzione del suo potere Xi ha dato un ruolo centrale alla sua campagna per schiacciare la corruzione nel Partito e nell’amministrazione. Non è stato risparmiato nessuno: militari, funzionari di partito, uomini di affari. Centinaia di migliaia di funzionari, pesci piccoli e grandi, sono finiti nella morsa di Xi. Questo richiedeva un rafforzamento del potere del presidente, che certamente si è fatto molti nemici.