La situazione già tesa in Medio Oriente ha raggiunto nuovi livelli di criticità con un grave attentato al valico Allenby, principale punto di passaggio tra Israele e Giordania, dove tre vigilanti israeliani sono stati uccisi da un camionista giordano di 39 anni. Il responsabile dell’attacco, dopo aver abbandonato il suo veicolo, ha aperto il fuoco sulla folla di lavoratori che si trovavano al valico, generando panico e morte in una delle aree più delicate della regione. Le forze di sicurezza israeliane sono intervenute prontamente, riuscendo a “neutralizzare” l’attentatore, ma l’episodio ha lasciato un segno profondo nelle relazioni tra i due Paesi e ha contribuito ad alimentare un clima di estrema tensione su scala regionale.
Il valico Allenby, conosciuto come ‘Re Hussein’ sul versante giordano, è un punto nevralgico per il traffico di persone e merci tra Israele e Giordania, un passaggio essenziale per migliaia di lavoratori e commercianti che quotidianamente attraversano il confine. L’attentato ha immediatamente scatenato una reazione decisa da parte delle autorità israeliane, che hanno chiuso tutti i passaggi di confine con il vicino Paese, includendo non solo il ponte Allenby, ma anche il valico di Rabin vicino a Eilat e il ponte di Beit Sheaan. Questa decisione rappresenta un duro colpo per le relazioni bilaterali tra Israele e Giordania, legate da un accordo di pace dal 1994, ma soggette a continue tensioni a causa delle dinamiche geopolitiche regionali.
La risposta di Israele all’attentato non si è limitata alla chiusura dei confini. Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha espresso tutta la sua rabbia e determinazione durante una riunione di governo convocata d’urgenza. “Siamo circondati da un’ideologia assassina, guidata dall’asse del male dell’Iran”, ha dichiarato Netanyahu, attribuendo al governo iraniano la regia occulta di tutte le forze ostili che minacciano Israele. Il premier israeliano ha poi sottolineato che la minaccia non proviene solo da Gaza o dalla Cisgiordania, ma coinvolge anche Hezbollah, il gruppo sciita libanese che, secondo Netanyahu, rappresenta “il braccio più forte dell’Iran” nella regione. Queste parole sembrano prefigurare una possibile escalation militare anche sul fronte libanese, dopo che solo pochi giorni fa, il 25 agosto, Israele aveva lanciato un massiccio attacco preventivo in profondità nel Libano, avvicinandosi pericolosamente a un conflitto aperto con Hezbollah.
Netanyahu ha poi annunciato di aver incaricato le Forze di Difesa Israeliane (IDF) di prepararsi a “cambiare la situazione attuale”, lasciando intendere che Israele potrebbe adottare misure ancora più drastiche per garantire la sicurezza dei propri cittadini, soprattutto quelli che vivono nel nord del Paese, vicino ai confini con Libano e Siria. “Non possiamo continuare nella situazione attuale”, ha aggiunto, riferendosi alla crescente minaccia rappresentata dagli attacchi terroristici e dai lanci di razzi che continuano a colpire il territorio israeliano.
L’attentato al valico Allenby, sebbene non rivendicato ufficialmente da nessun gruppo, ha subito trovato l’appoggio di Hamas e della Jihad Islamica, che hanno lodato il gesto come una “risposta naturale” alle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Hamas, in particolare, ha definito l’attacco una giusta reazione all'”olocausto perpetrato dal nemico sionista contro il nostro popolo”, alimentando così la retorica di odio e resistenza armata contro Israele. La Jihad Islamica, dal canto suo, ha ribadito che questa è “l’unica risposta che l’America e Israele capiscono”, facendo riferimento al supporto militare statunitense a Tel Aviv.
Queste reazioni si inseriscono in un contesto di conflitto sempre più ampio e frammentato. Da mesi, Israele è impegnato in una sanguinosa offensiva nella Striscia di Gaza, dove il numero di vittime palestinesi ha ormai raggiunto cifre drammatiche, con circa 41.000 morti dall’inizio delle ostilità, inclusi 33 nelle ultime 24 ore. A questo si aggiungono gli scontri in Cisgiordania, dove le operazioni militari israeliane sono all’ordine del giorno, e gli scambi di fuoco con Hezbollah lungo il confine libanese. Inoltre, il conflitto ha varcato i confini regionali, con gli attacchi missilistici degli Houthi dallo Yemen e le continue tensioni con l’Iran, acuite dall’uccisione del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran.
L’attentato al valico Allenby non fa che complicare ulteriormente una situazione già estremamente intricata. Oltre alla minaccia esterna, il governo israeliano si trova a dover affrontare anche una crescente opposizione interna. A Tel Aviv, le proteste di piazza si fanno sempre più frequenti, con manifestanti che chiedono a gran voce una tregua per permettere la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas. Allo stesso tempo, l’estrema destra israeliana, rappresentata dal ministro Ben Gvir, continua a fare pressione sul governo affinché estenda le operazioni militari anche alla Cisgiordania, chiedendo che una “vittoria completa” venga inclusa negli obiettivi di guerra di Israele.
Sul piano internazionale, la diplomazia sembra bloccata in un dialogo fra sordi. In un piccolo ma significativo incidente diplomatico, il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha rifiutato di incontrare il rappresentante dell’Unione Europea Josep Borrell, respingendo le date proposte per una visita in Israele e Cisgiordania. L’alleato americano, tradizionalmente vicino a Israele, sembra sempre più distante, con l’amministrazione Biden che rimprovera a Netanyahu di non cercare attivamente una soluzione di pace.
La crisi scaturita dall’attentato al valico Allenby rappresenta solo uno dei tanti fronti aperti in un conflitto che coinvolge tutto il Medio Oriente. Israele si trova a dover affrontare minacce provenienti da Gaza, Cisgiordania, Libano, Yemen e Iran, mentre la diplomazia internazionale fatica a trovare una via d’uscita. Con il numero di vittime che continua a crescere e la retorica bellicosa che domina le dichiarazioni dei leader regionali, la prospettiva di una soluzione pacifica sembra ancora lontana, lasciando la popolazione civile esposta alle tragiche conseguenze di una guerra senza fine.