Donald Trump, il miliardario dell’immobiliare con una gran faccia tosta, l’ex star dei reality show per la quale la vittoria è tutto, si prepara a conquistare uno dei trofei più ambiti sulla Terra, la poltrona di presidente degli Stati Uniti. Per i suoi fan, il candidato repubblicano, che ha ricevuto l’investitura della convention del partito, è l’impersonificazione del successo americano, il magnate senza scrupoli che risolverà magicamente tutti i problemi di una nazione in crisi, che si interroga sul suo ruolo nel mondo e nella quale le classi lavoratrici e medie bianche sono sempre più frustrate. Per i critici non è che un demagogo razzista, o piuttosto un buffone con una finta abbronzatura arancione e un’assurda pettinatura gialla, che consegnerà la presidenza a Hillary Clinton o condurrà il mondo alla catastrofe. Trump ha ottenuto la vittoria più importante della sua carriera politica, che nella realtà è appena agli esordi, dopo una corsa verso il successo incredibile, senza eguali nella storia della politica Usa. In questi mesi l’unica certezza per gli osservatori è che Trump non segue la regole della politica tradizionale: ha insultato donne, messicani, musulmani, praticamente chiunque gli abbia intralciato la strada, compresi suoi 16 rivali alle primarie per la nomination repubblicana. Ha definito Jeb Bush “scarico”, soprannominato Rubio “il piccolo Marco” e attaccato senza sosta Cruz, “Ted il bugiardo”. Ma l’iperbolica franchezza di Trump, il suo disprezzo per la “political correctness” e per l’establishment di Washington hanno toccato corde profonde nell’elettorato bianco Usa.
Ha promesso di costruire un muro sul confine messicano, di deportare milioni di immigranti illegali e di sfidare la Cina sotto il suo slogan: “Make America Great Again” (Facciamo di nuovo grande l’America). Mentre vola da comizio a comizio sul suo Boeing 757 personale, viene trattato come una rock star. Secondo il New York Times nell’ultimo anno ha avuto gratuitamente spazi televisivi del valore di quasi due miliardi di dollari. All’inizio della campagna per la nomination repubblicana il dubbio era se i numeri di sondaggi si sarebbe trasformati in voti reali. Dopo una prima sconfitta contro Cruz in Iowa, Trump alle primarie ha preso una rincorsa che l’ha reso imbattibile. Ieri, dopo aver sventato un ultimo tentativo di fermarlo della fronda interna al partito, il movimento Never Trump, ha conquistato la convention del Grand Old Party di Cleveland. Sono stati i voti annunciati dallo Stato di New York, quello dove Trump è nato e vive, che gli hanno permesso di superare il numero magico nella tradizionale “roll call” dei delegati. Dei 1.237 voti necessari, il magnate dell’immobiliare ne ha conquistati 1.725. All’arcirivale Ted Cruz, il senatore del Texas che sperava di arrivare almeno a una convention negoziata, ne sono andati 475. John Kasich, governatore dell’Ohio, ne ha ricevuti 120. Il senatore della Florida, Marco Rubio, ne ha presi 114. L’ex neurochirurgo afroamericano Ben Carson se ne è aggiudicati 7. Jeb Bush ne ha portati a casa 3. Peggio di lui ha fatto Rand Paul con 2 voti. E’ un “grande onore”, ha commentato Trump dal palco di una convention che brilla per le scenografie faraoniche e l’assenza dei grandi nomi del partito, al termina di una giornata segnata dalla polemiche sul discorso della candidata first lady, Melania, accusata di aver copiato un analogo intervento di Michelle Obama alla convention democratica del 2008.
Donald Trump è nato il 14 giugno 1946 a Queens, New York, quarto di cinque figli. Il padre Fred era un ricco immobiliarista figlio di immigrati tedeschi, la madre Mary di origine scozzese. Chiassoso e ribelle, il giovane Donald fu spedito alla New York Military Academy, scuola privata vicino a West Point, e si laureò alla Wharton School of business dell’università della Pennsylvania nel 1968. Iniziò a lavorare per il padre, che costruiva edilizia residenziale di medio livello nel quartieri periferici di New York. Ma Queens e Brooklyn non erano abbastanza per “The Donald”, che puntò su Manhattan, facendo alcuni degli affari immobiliari più vistosi d’America sull’onda della Reaganomics e diventando un simbolo degli eccessi degli anni Ottanta. La sua reale ricchezza è oggetto di dibattito: lo stesso Trump ha detto alla commissione elettorale federale di valere 10 miliardi di dollari, ma per Forbes la sua fortuna non supera i 4,5 miliardi. La Trump Organization però ha disseminato di edifici di lusso tutta Manhattan. Il suo impero di campi da golf, casino, hotel e complessi residenziali di lusso si estende dalla California a Mumbai. Ha scritto vari bestsellers e consolidato la sua fama con il reality show della Nbc “The Apprentice”, che ha dato vita a “The Celebrity Apprentice”, finchè la rete tv non l’ha scaricato per le sue offese ai messicani. In realtà la sua storia di imprenditore è costellata insuccessi. Tra il 1991 e 2009 i suoi casino e alberghi sulla costa orientale degli States sono falliti quattro volte, facendo di Atlantic City una città fantasma, per non parlare del fiasco del business delle bistecche e dell’acqua minerale.
C’è poi la Trump University, una scuola privata a distanza, per la quale è sotto processo per truffa. Noto fino a un anno fa per i suoi tre matrimoni, le sue sparate sui media e per un’assurda campagna sul certificato di nascita del presidente Barack Obama, la sua candidatura alla Casa Bianca è stata accolta inizialmente con ironia. Ma nel giro di qualche settimane Trump ha scalato i sondaggi repubblicani ed è rimasto saldamente in testa. Ha definito gli immigrati messicani violentatori, ha dato ad intendere che una conduttrice tv di Fox News gli faceva domande scomode perchè aveva il ciclo, ha sollevato una condanna internazionale per aver proposto di impedire ai musulmani l’ingresso negli Usa. Poche ore prima di vincere le primarie in Indiana e sbattere fuori Cruz dalla corsa, ha affermato che il padre di Cruz, Rafael, era legato all’assassino di John Kennedy. Ma in milioni credono alla sua promessa di tradurre il suo successo personale in un Paese migliore. Ex democratico ed independente, Trump ha abbandonato le sue posizioni liberali su armi e aborto per spostarsi sempre più a destra, alienandosi i repubblicani moderati. Ha cinque figli: tre dalle prima moglie Ivana, dalla quale ha divorziato nel 1992, una figlia dalla seconda moglie Marla Maples e un figlio dall’attuale, l’ex modella slovena Melania Knaus.