Coalizione internazionale: Isis sconfitto nel 2017 ma la lotta a terrore non finisce
FORUM MED 2016 Obiettivo è la sicurezza nel Mediterraneo. Per Gentiloni serve replicare l’esperienza di Helsinki
La strategia militare della coalizione internazionale contro l’Isis “sta dando i suoi frutti” e il 2017 potrebbe essere l’anno della sua “sconfitta definitiva”, in Iraq, Siria e Libia. Ma tutto questo non basta: occorre rivolgere lo sguardo al futuro, la sfida di oggi è darsi un “obiettivo a più lunga scadenza”, puntare su ricostruzione e sicurezza, rendere gli attori regionali pienamente responsabili del loro avvenire. La prima giornata del Forum Med 2016 di Roma, dedicata alla sicurezza del Mediterraneo, sembra mettere tutti d’accordo: “il momento in cui Daesh sarà sconfitto militarmente non rappresenterà la fine della lotta al terrorismo”, e mentre si lavora per contenere il “disordine” nel Mediterraneo, occorrerà “cominciare a tessere le fila di un nuovo ordine possibile”. L’esempio può essere l’esperienza di Helsinki, ha spiegato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che ha aperto i lavori ricordando quando in “un’Europa divisa e in conflitto” si faceva faticosamente strada “il negoziato” e “si creavano le basi per costruire la fiducia”. Un processo che può essere ripetuto oggi, con “pacchetti regionali”, “con la gestione comune delle risorse”, con varie forme di dialogo culturale”.
Un impegno che deve coinvolgere tutti – Paesi occidentali, Europa e attori regionali -, quello di evitare che il Mediterraneo, il Mare nostrum, diventi il “Mare nullius”, cioè “un luogo in cui nessuno si assume la responsabilità o la corresponsabilità di far fronte alle crisi”, “di sviluppare un’agenda positiva”. Insomma, quello di assicurare l’ordine nella regione del Mediterraneo non può essere un lavoro fatto solo da “un guardiano esterno”. E, ha sottolineato Gentiloni, “se ancora qualcuno coltiva l’illusione che una grande potenza possa essere il garante dell’ordine del Mediterraneo farebbe bene a dismettere questa illusione”. Un concetto – concordano i partecipanti alla conferenza, riuniti a Roma dal ministero degli Esteri con la collaborazione dell’Ispi – che si sposa bene con le principali crisi che affliggono la regione, quelle in Iraq, Siria e Libia. Il capo della diplomazia irachena al Jaafari ricorda con orgoglio il sacrificio dei soldati di Baghdad per la riconquista di Mosul, ringraziando i paesi occidentali – Stati uniti e Italia, soprattutto – per lo sforzo compiuto nel paese. L’Iraq sta combattendo contro l’Isis “a nome del mondo intero”, afferma. I jihadisti “provengono da quasi 100 Paesi”, “è una guerra mondiale che non è iniziata con l’Iraq e non finirà con l’Iraq”. Così come chiaro a tutti deve essere che “non c’è alcuna soluzione militare” per la crisi siriana, che “sulle scene di Aleppo Est non si costruisce il futuro della Siria”, sottolinea Gentiloni.
Certo, il ruolo degli Stati uniti – che guida la coalizione anti-Isis – è e resterà “fondamentale” e l’Italia è “pronta” e “ansiosa” di collaborare con l’amministrazione Trump per cercare di contribuire alla stabilizzazione regionale. “Vedremo l’evoluzione dei rapporti tra Trump e la Russia, se ci sarà un dialogo più fruttuoso. Non saremo certo noi italiani a lamentarcene, visto che all’importanza di questo dialogo abbiamo sempre richiamato la Comunità internazionale”, ha insistito Gentiloni, che ha parlato dei rapporti con la Russia, di Brexit e crisi libica anche in un bilaterale con l’omologo di Londra Boris Johnson. Ma qualunque siano i futuri sviluppi delle relazioni bilaterali tra Washington e Mosca – domani John Kerry e Sergey Lavrov saranno entrambi a Roma e si lavora a un bilaterale -, “la garanzia di stabilità resta un esercizio multilaterale, collettivo, che riguarda soprattutto i player che vivono nella regione”.
Una posizione, questa, sostenuta con forza anche dal segretario generale della Lega araba, che ha chiesto ai Paesi occidentali – Stati uniti, Gran Bretagna, in particolare – di evitare ogni intromissione. “Per favore state fuori dalla nostra regione”, ha detto Ahmed Aboul Gheit (foto). “C’è stata un’insistenza a intervenire” nel Mediterraneo e in Medio Oriente, ma “questi interventi hanno prodotto solo disastri e imprevisti nella nostra storia”. Prima di potere giungere ad un nuovo ordine regionale, prima di giungere ad una nuova Helsinki del Mediterraneo – è opinione di Gheit – “vanno risolte alcune questioni fondamentali”: occorre “assicurare l’inviolabilità delle frontiere, capire come mantenere in piedi l’idea di Stato in Libia, Siria e Iraq” e “impedire interventi da parte dei Paesi vicini”. Insomma, occorre stabilire “alcune regole” e solo dopo “si potrà iniziare a parlare di un nuovo ordine e di un accordo che coinvolga tutta la regione”.