Col nuovo Senato rischio per sistema garanzie
Il braccio di ferro tra Senato elettivo e Senato con elezione di secondo grado, oltre ad attirare l’attenzione su un dualismo vissuto dai cittadini (o dagli spettatori?), ha tenuto in ombra un tema molto delicato per la qualita’ democratica del nostro apparato istituzionale: quello del sistema delle garanzie. Detto cosi’, a molti potra’ sembrare una cosa da poco. In realta’ e’ uno dei problemi piu’ complessi che da soli possono alterare, nel bene e nel male, un ordinamento giuridico e la tenuta della ingegneria istituzionale. Il caso non e’ certo nuovo. In modo macroscopico, rispetto ad oggi e al Senato delle autonomie, lo si e’ avuto negli anni recenti quando si e’ deciso di passare da un sistema elettorale proporzionale ad uno maggioritario come per il Mattarellum, anche se corretto da una quota proporzionale. Il guaio non era il maggioritario in se’ quanto averlo adottato e calato in un sistema istituzionale tutto tarato sul proporzionale.
Il risultato fu di mettere a disposizione di una maggioranza politica, quindi di una sola parte, i meccanismi di garanzia del sistema, che vale la pena di ricordare si chiamano Consiglio superiore della magistratura, Corte costituzionale, Corte dei conti, presidente della Repubblica e tutte le autorita’ di garanzia e di controllo. Tutto questo per il solo fatto che con il maggioritario (per fortuna frenato da un 25% di proporzionale) le maggioranze qualificate previste erano facilmente raggiungibili da una sola parte politica a differenza dal passato. Quella fu una situazione macroscopica che mise addirittura a rischio la stessa Costituzione, ma oggi un fenomeno della stessa natura anche se piu’ in piccolo si puo’ annidare nella riforma del Senato. A dare l’allarme su questo rischio e’ soprattutto Giorgio Tonini, vicepresidente dei senatori Pd, che in modo colorito ha richiamato l’attenzione dicendo: ”Nel confronto sulla riforma del Senato dobbiamo evitare di concentrarci sul dito perdendo di vista la Luna: di dibattere cioe’ sulle modalita’ di elezione dei senatori, invece di affrontare i temi aperti e complessi delle garanzie e del federalismo”. ”Il problema vero, posto anche dai firmatari del ddl Chiti, -dice Tonini- e’ quello dell’impatto della riforma del Parlamento sulle procedure di elezione delle istituzioni di garanzia, a cominciare dal presidente della Repubblica e dalla Corte costituzionale”.
”E’ una preoccupazione-aggiunge- a cui si deve dare necessariamente una risposta, mentre sarebbe un errore concentrarsi sul rimedio, a mio avviso sbagliato, proposto dai colleghi: quello di mantenere una qualche forma di elezione diretta dei senatori”. Quello che si deve evitare, spiega Tonini, e’ il ”rischio di consegnare alla maggioranza politica espressa col sistema maggioritario alla Camera dei deputati non solo, come e’ giusto, il diritto-dovere di governare, ma anche la disponibilita’ delle istituzioni di garanzia. Dunque -prosegue Tonini- e’ necessario introdurre nella proposta del governo i necessari correttivi: ad esempio, sul modello tedesco, l’integrazione dei grandi elettori del Capo dello Stato, deputati e senatori, con una consistente quota di delegati, regionali, e non solo”. ”Concentrarsi su questi temi, come per altri versi, in dialogo con le Regioni, sulla riforma del titolo V credo che aiuterebbe molto -sottolinea Tonini- a migliorare davvero il testo, sgomberando il campo da tutte le false soluzioni, piu’ o meno strumentali, sulla questione della elezione dei senatori, che comunque deve restare indiretta ed espressione del sistema delle autonomie regionali e locali. Tornare ai senatori a tempo pieno, eletti direttamente, -conclude Tonini- significherebbe infatti mantenere l’attuale bicameralismo perfetto”. Angelo Mina/Asca