Sono circa 200 gli indagati; 68 gli affiliati alla Grande Aracri; oltre 50 degli arrestati devono rispondere del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, ma i capi di imputazione spaziano dall’estorsione alle minacce, dall’usura alla bancarotta fraudolenta. “Sette persone mancano all’appello” ed “essendo un’organizzazione molto mobile”, come ha lasciato intendere il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, potrebbero trovarsi in Germania, in Venezuela o in Calabria. Ros e Dia di Bologna e Guardia di Finanza di Cremona stanno ancora procedendo alla confisca di beni per oltre cento milioni di euro.
Con l’indagine “Aemilia”, durata quattro anni, si ha la conferma che in Emilia – in particolare tra Parma, Reggio Emilia e Modena – opera “da oltre un ventennio una cellula ‘ndranghetista di derivazione curtense che, attraverso un processo di progressiva emancipazione rispetto alla cosca, ha guadagnato in autonomia e autorevolezza sul piano economico-finanziario, mantenendo sostanzialmente inalterata la cifra della propria capacità di intimidazione, e peraltro adeguata al mutato ordine delle cose” ha scritto il Gip Alberto Ziroldi nell’ordinanza di 1.300 pagine.
Per comprendere il radicamento in terra emiliana dell’associazione mafiosa di Cutro guidata da Nicolino Grande Aracri, bisogna tornare al 1982 con l’arrivo, a causa del confino, del capo mafia calabrese Antonio Dragone. Sono tre le principali indagini (due della Dda di Bologna e una della Dda di Catanzaro) che negli anni hanno fotografato sempre meglio l’organigramma della famiglia al Nord.
La maggior parte degli arresti oggi, eseguiti su misura cautelare richiesta dal sostituto procuratore della Dda di Bologna Marco Mescolini, sono stati eseguiti nella provincia di Reggio Emilia, Modena e Parma. Oltre al boss Nicolino Sarcone e tutti i suoi collaboratori, sono stati fermati o comunque denunciati, nomi eccellenti della politica e dell’imprenditoria locale. L’ex consigliere comunale e provinciale di Forza Italia a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani, per esempio, è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per l’impegno profuso, in tutti i modi a lui possibili visto il ruolo rivestito, per “rilanciare” l’associazione cutronese finita in disgrazia negli ultimi anni a causa di numerose vicende giudiziarie. A questo si è prestato anche il giornalista Marco Gibertini e l’imprenditore Giuseppe Iaquinta, padre dell’ex attaccante della Juve e della Nazionale.
A Parma un altro politico si è sporcato le mani con la ‘ndrangheta: Giovanni Paolo Bernini, ex presidente del consiglio comunale, che prometteva denaro in cambio di voti per la campagna elettore del 2007. Per lui i pm hanno chiesto gli arresti, ma sono stati respinti dal Gip e quindi la procura ricorrerà. Nonostante la “White list”, gli appelli e le verifiche sugli appalti, la mafia si è infiltrata anche nei cantieri della ricostruzione del post terremoto che ha colpito in particolare la Bassa Modenese nel maggio 2012. Il noto imprenditore edile Augusto Bianchini, grazie alla collaborazione di Giulio Gerrini, responsabile dell’ufficio Lavori pubblici del Comune di Finale Emilia ora ai domiciliari, si era aggiudicato numerosi lavori per il recupero di rifiuti, la gestione delle macerie e la ricostruzione della nuova scuola.
I proventi illeciti di queste articolazioni ‘ndranghetiste venivano in parte trasferiti alla cosca crotonese, con il ricorso alla falsa fatturazione da società calabresi riconducibili ai Grande Aracri, e in parte reimpiegati in loco nell’erogazione di prestiti a tassi usurari in pregiudizio di imprenditori e nell’avvio di iniziative immobiliari intestate a prestanome nelle province di Mantova e Parma. A queste attività si devono aggiungere quella di ricettazione di imbarcazioni di lusso del valore di svariati milioni di euro, oggetto di appropriazione indebita commessa in Italia e reimmesse nei mercati nautici di Turchia e Croazia.
Per evitare le verifiche antimafia della Prefettura di Reggio Emilia e di influenzarne gli orientamenti, oltre all’appoggio di politici e professionisti, gli affiliati erano agevolati anche rappresentanti delle forze dell’ordine: un ispettore e un ex ispettore della Polizia, un ex sovrintendente della Polstrada, due ex carabinieri quasi tutti accusati per reati di concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione. Per Domenico Mesiano, poliziotto, ex autista del questore di Reggio Emilia, oltre che per associazione mafiosa è accusato anche di accesso abusivo alle banche dati della polizia e di minacce a una giornalista, Sabrina Pignedoli del “Resto del Carlino” perché scrivesse nulla sulla famiglia di Antonio Muto della famiglia dei Grande Aracri.