Il primo verdetto della Commissione europea sui conti pubblici dell’Italia è arrivato e, come ampiamente previsto, è un giudizio negativo. Ad una prima analisi Bruxelles ritiene la Penisola “inadempiente” sulle regole comuni, specialmente riguardo al debito pubblico, e quindi reputa “giustificata” una procedura nei suoi riguardi. Queste valutazioni si accompagnano da giudizi negativi anche su alcune misure chiave prese dal governo e soprattutto sulle loro ricadute sui costi di rifinanziamento del debito. Quello di oggi era solo di “un primo passo”, che lo stesso esecutivo comunitario ha voluto accompagnare da nuovi segnali di disponibilità al dialogo e al confronto.
Nel frattempo, però, i giudizi non sono lusinghieri. “Quando guardiamo all’economia – è l’accusa del vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis – vediamo i danni dovuti a misure prese di recente”. In particolare il rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato ha implicato spese di “2,2 miliardi di euro superiori rispetto a quanto prevedevamo nelle stime di primavera 2018. Oggi – ha fatto notare il lettone – l’Italia paga il servizio debito quasi come tutta l’educazione”. Queste valutazioni sono arrivate con il Pacchetto di primavera 2019 del semestre europeo. L’Italia non era l’unica sotto analisi in base all’articolo 126, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea: toccava anche a Belgio, Francia e Cipro. Ma il contestuale rapporto sul debito della Penisola ha evidenziato elementi critici. “Nel caso dell’Italia – si legge – l’analisi suggerisce che sul criterio del debito vada considerata non adempiente e che è quindi giustificata una procedura per disavanzi eccessivi per il debito”.
La Commissione europea rileva che l’Italia ha mostrato una deviazione sul rapporto debito-Pil del 2018 pari a 7,5 punti percentuali rispetto al livello previsto. E prevede ulteriori sforamenti per 9 punti percentuali sul rapporto debito-Pil 2019 e 9,5 punti sul 2020. Sempre secondo Dombrovskis, “le recenti politiche dell’Italia hanno inflitto danni. L’Italia paga per interessi” sul debito “tanto quanto spende per tutta l’istruzione, pari a 38.400 euro per abitante, e la crescita si e’ quasi interrotta”. Nel rapporto preparato dalla Commissione ai sensi dell’articolo 126.3 del Trattato si mette anche in evidenza che il costo annuo del servizio del debito, cioe’ quanto viene pagato per interessi sui titoli pubblici in circolazione, e’ arrivato ad essere di circa 1000 euro per abitante. Inoltre, la spesa globale per interessi (64 miliardi, circa il 3,7% del Pil) equivale all’incirca a quanto viene destinato nel bilancio pubblico al capitolo educazione. Il grande stock del debito pubblico, si legge tra le altre cose nel documento, “non offre spazi di manovra per affrontare shock economici, rappresenta un peso che grava sulle spalle delle prossime generazioni” ed espone il Paese “a crisi di fiducia da parte dei mercati”. Quindi, affrontare questo problema “dovrebbe rimanere una priorita’ nell’interesse stesso dell’Italia”.
Lo stesso Dombrovskis ha chiarito che oggi non scatta una procedura per eccesso di deficit. Ma come in altre occasioni, chi ha maggiormente interpretato il ruolo di mediatore è stato il commissario agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici. Quello odierno “è solo un primo passo di un percorso che potrebbe concludersi con una procedura. Ora se ne discuterà nel Comitato economico e finanziario, che ha due settimane per formarsi un’opinione”. “Se il Comitato darà il suo sostegno – ha continuato -, allora ci può essere una procedura. La Commissione indirizza al Consiglio una opinione sull’esistenza di una situazione di deficit eccessivo relativa al debito, e poi il Consiglio decide. Ma nel frattempo, ha assicurato il commissario, “siamo sempre pronti a scambiare nuove cifre, informazioni fattuali con il governo italiano. E’ questo quello che bisogna fare ora. La porta resta sempre aperta all’accordo e allo scambio. Ma sta al governo italiano dimostrare che si può evitare la procedura”. Nel frattempo comunque il passaggio ha contribuito a ricreare pressioni sui titoli di Stato, con i rendimenti dei Btp a 10 anni risaliti attorno al 2,60 e lo spread tornato in zona 280 punti base.