Con più Europa nelle istituzioni potremo avere più euro in tasca
Appena arrivato a Palazzo Chigi ho incontrato l’ex Presidente del Brasile Lula. È stato un incontro particolarmente importante. Mi ha colpito una considerazione di Lula: non ho mai visto l’Europa e gli Stati europei così rassegnati, pessimisti e stanchi. Credo che chi rappresenta un Paese all’interno del Consiglio europeo debba partire da questa considerazione. L’Europa oggi vive una fase di difficoltà che è evidente agli occhi dei cittadini che percepiscono quanto sia alto il rischio di una forte affermazione di partiti populisti e antieuropeisti. Ma questo tipo di evidenza va oltre il cittadino comune e arriva persino a quei politici di tutto il mondo che hanno sempre visto nel nostro continente un modello e un punto di riferimento.
Diceva Alex Langer: “Stiamo costruendo un’Europa di spostati e velocizzati, dove si smistano sempre più merci, persone, pacchetti azionari, ma si vuotano di vivibilità le città e le regioni”. Il rischio di una deriva tecnocratica e burocratica europea è un rischio che non avvertono solo il Parlamento o il Governo, è un rischio che è dentro, insito nell’animo e nel cuore di chi da anni si batte per una Unione europea degna di questo nome. Su questo punto, trovo che sia assolutamente fondamentale che si esca da una visione per la quale l’Europa ci controlla i compiti o l’Europa ci fa le pulci. L’Europa non è un’istituzione “altra” rispetto a ciò che siamo noi.
Italia ed Europa, a dispetto di una certa propaganda, non sono due controparti, sono sulla stessa barca. O l’Italia è in grado di cambiare se stessa, e, contemporaneamente, l’Europa è in grado di uscire da una visione totalmente incentrata sull’austerità, oppure non c’è spazio per la politica. E rimaniamo alla visione di Langer, quella di un’Europa totalmente tecnocratica e incapace di offrire alcuna speranza, totalmente rassegnata. Ma come possiamo essere credibili a chiedere un’altra Europa, se da trent’anni, la discussione sul sistema bicamerale è sempre quella? Come possiamo essere credibili a chiedere un’altra Europa più attenta alla stabilità, se il nostro sistema elettorale non garantisce la stabilità? Come possiamo essere in grado di chiedere di superare l’euroburocrazia se, per primi noi, in tutti i nostri documenti, in tutte le nostre campagne elettorali, combattute su fronti diversi, continuiamo a dire che abbiamo un programma di riforma della pubblica amministrazione e a non affrontarlo? Come possiamo essere credibili a chiedere di cambiare le regole del gioco sull’occupazione giovanile, quando noi abbiamo dei numeri sulla disoccupazione giovanile che gridano vendetta?
In Francia la disoccupazione non è molto più bassa che da noi. Sono circa due punti percentuali, ma la differenza fra la disoccupazione giovanile francese e quella italiana è di oltre 20 punti percentuali, 22 a 42 per cento. È evidente, dunque, che l’Italia ha bisogno, se vuole essere soggetto credibile in Europa, di cambiare se stessa. In questi anni, l’Italia i compiti li fatti. È un Paese che ha il secondo export dei 28 Paesi europei; è un Paese che ha una manifattura che continua ad avere dei risultati straordinari; è un Paese di cui siamo orgogliosi e che ha bisogno di un racconto diverso anche di se stesso all’estero. Noi non abbiamo paura a confrontarci con nessuno sui numeri, non abbiamo paura a confrontarci con nessuno sui dati, non abbiamo paura a confrontarci con nessuno sul rispetto dei parametri europei. Sappiamo di avere una grande zavorra, anche in questo caso culturale prima ancora che economica, che è quella del debito pubblico e del rapporto con il Pil. Abbiamo proposto al Parlamento di avere il coraggio di cambiare se stesso per cambiare l’Europa e di affrontare temi che sono nell’agenda politica da vent’anni.
Se saremo in grado di realizzare quello di cui abbiamo parlato, dalla riforma costituzionale, istituzionale ed elettorale al cambio di politica economica, legata a una visione non incentrata sull’austerity, ma incentrata sulla crescita e sullo sviluppo, che combatta la disoccupazione non a parole, ma attraverso un cambio di paradigma, allora anche il passaggio politico del 25 maggio non sarà un derby tra europeisti e antieuropeisti. Chi immagina di dare tutte le colpe all’Europa non inganna se stesso, inganna i propri elettori. C’è un unico modo per avere più euro in tasca: avere più Europa dentro le nostre istituzioni. Chi sostiene che l’euro è di tutti ha quindi ragione. Dobbiamo convincere i cittadini che è davvero così. (Il Tempo)
*Presidente del Consiglio dei ministri