Cronaca

Condannato a 6 anni di carcere il pugile dell’Isis, a 5 la moglie. Progettava un attacco a Roma

Abderrahim Moutaharrik, il marocchino ribattezzato “il pugile dell’Isis” (era un campione di thai boxe in Svizzera) che secondo gli inquirenti milanesi voleva partire per la Siria insieme alla moglie e ai suoi due figli per poi rientrare in Italia e farsi esplodere in un luogo simbolo di Roma, è stato condannato a 6 anni di carcere. La pena inflitta a sua moglie, la connazionale Salma Benncharki, è, invece, pari a 5 anni. I pm di Milano, Francesco Cajani e Enrico Pavone, avevano chiesto 6 anni e mezzo di carcere per ciascuno di loro. Il gup Alessandra Simion, titolare del processo celebrato con rito abbreviato, ha inoltre disposto per loro la sospensione della podestà genitoriale. Condannati anche gli altri due imputati, tutti marocchini e tutti presunti appartenenti alla cellula lombarda dell’Isis: 6 anni per Abderrahmane Khachia e 3 anni e 4 mesi per Wafa Koraichi, che nei giorni scorsi ha ottenuto i domiciliari. L’accusa, per tutti, è terrorismo internazionale.

MARTIRE DI ALLAAH I quattro imputati finirono in carcere nel luglio scorso. Secondo l’accusa, Moutaharrik era pronto a lasciare la sua residenza di Lecco e a raggiungere la Siria per arruolarsi nelle milizie di Al Baghdadi portando con sé la moglie Salma e i suoi due figli di 2 e 4 anni. Poi, una volta sistemata la famiglia, sarebbe tornato in Italia. Secondo gli inquirenti dell’antiterrorismo di Milano, ambiva a diventare “un martire di Allah”: dalle intercettazioni telefoniche e ambientali sarebbe emerso il suo proposito di farsi esplodere a Roma, in Vaticano o all’Ambasciata di Israele. Nella perquisizione condotta nella sua abitazione di Lecco, sono stati trovate gli alcune agende e fogli cartacei scritti in lingua araba dotta. Tra questi, anche il cosiddetto “poema bomba” dedicato espressamente ad “Abderrhaim” con “l’ordine di uccidere gli infedeli”. “Colpisci – è l’esordio del componimento – dalle tue palme eruttano scintille e sgozza! Chè con il coltello è attesa la gloria. Fai esplodere la tua cintura nelle folle gridando ‘Allah Akbar!’. Colpisci come un vulcano e agita chi è infedele, affronta la folla del nemico ringhiando come un fulmine. E gridando ‘Allah Akbar’ esploditi, o leone”. Ma a rendere concreti i suoi propositi terroristici, secondo i pm, sarebbe stata soprattutto la “tazkia”, quella sorta di “raccomandazione” necessaria per essere arruolati tra le combattenti dell’Isis.

VATICANO Duro il commento del suo difensore, l’avvocato Sandro Clementi: “Moutaharrik non ha mai detto di volere colpire il Vaticano”, ha sottolineato il legale. Dalle indagini, ha aggiunto, sono emersi “riferimenti a una sua volontà di colpire Roma” ma lo fa “mentre parla con un amico” riferendosi a una circostanza di “8 anni fa”. Il presunto proclama terroristico di Moutaharrik, ha detto ancora Clementi, riguarda “una frase del 2009”, ripetuta “a un amico nel 2015”. Perciò “evidentemente è una vanteria con un amico detta in automobile, ma senza nessun riferimento ad atti di violenza, attentati o tantomeno alla volontà di colpire il Vaticano o Israele. Sono tutte estensioni non legittime di due frasi raccontate e riferite otto anni fa”. A procurare a Moutaharrik la “tazkia” sarebbe stato un suo connazionale, indicato dagli inquirenti milanese come l’intermediario tra il pugile e un alto rappresentante del Califfato: Mohamed Koraici, pure lui destinatario dell’ordine di arresto disposto a luglio scorso per terrorismo internazionale ma irreperibile ormai da anni.

LA MOGLIE Già a gennaio del 2015, infatti, Koraichi lasciò Bulciago, paesino in provincia di Lecco dove viveva insieme alla famiglia, e raggiunse la Siria portando con sè anche la moglie, l’italiana Alice Brugnoli, convertita all’Islam con il mome di Aisha, e i tre figli della coppia, di 6, 4 e 2 anni. E’ invece finita in carcere ed è stata condannata a 3 anni e 4 mesi la sorella di Mohamed, Wafa Koraichi, che viveva da anni a Baveno, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Stesso discorso per Abderrhmane Khachia, altro marocchino all’apparenza integrato nella società lombarda (viveva a Brunello, in provincia di Varese), condannato oggi a 6 anni. Una condanna ingiusta, secondo il suo legale, l’avvocato Luca Bauccio, che preannuncia ricorsi in tutti i gradi di giudizio. “Ci difenderemo fino in Cassazione”, è stata la sua parola d’ordine. Il fratello del marocchino, Oussama Khachia, è noto per essere stato uno dei primi foreign fighter del Califfato: fu espulso dall’Italia nel gennaio 2015 e andò in Siria dove venne ucciso mentre combatteva sotto le insegne nere del Califfato.

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