Politica

Conferenza sul Clima di Madrid un flop mondiale. Cina e Usa puntano piedi

Non che le aspettative fossero molte, ma l’intesa uscita dalla Conferenza sul Clima di Madrid ha lasciato insoddisfatta la comunità scientifica e le ong e irrisolti alcuni dei nodi fondamentali dell’applicazione degli accordi di Parigi, in primis quella del mercato dei crediti delle emissioni. Una Cop25 che già era nata sotto cattivi auspici, con la crisi cilena che aveva costretto la presidenza della conferenza a cambiare in fretta e furia sponda dell’Atlantico per approdare a Madrid: ma nonostante le manifestazioni – questa volta pacifiche – e le 48 ore di negoziati extra il consenso raggiunto dalle delegazioni appare tutt’altro che ambizioso.

Ancora ieri pomeriggio il cordinatore Andres Larrenetche si era detto fiducioso in un accordo “rapido e ambizioso”, ottimismo peraltro smentito qualche frase dopo con il caveat diplomatico “la presidenza ha un ruolo di facilitazione, ma se il consenso non c’è…”; e infatti, al termine di una plenaria iniziata a mezzanotte (quattro ore dopo il previsto) e terminata questa mattina sul tavolo rimane un appello ai vari Paesi perché presentino nel 2020 dei target di riduzione delle emissioni più coraggiosi. Un appello, appunto: che lo facciano è tutt’altra questione e qui si ritorna ai principali ostacoli che da anni ormai impediscono un deciso progresso nei negoziati: crediti delle emissioni appunto, finanziamento dei Paesi in via di sviluppo e meccanismo di compensazione per perdite e danni da danni climatici.

Sul primo punto a puntare i piedi sono i principali Paesi inquinatori, con in testa Cina e Stati Uniti, che insistono sull’integrazione nel sistema dei crediti previsto dai Protocolli di Kyoto: un sistema che secondo l’Unione Europa permetterebbe di fatto una doppia contabilità e una riduzione molto minore di quella teorica – tanto che Bruxelles preferisce su questo punto un mancato accordo a un cattivo accordo: se ne riparlerà a Glasgow. Sui finanziamenti, qualche passo avanti si è registrato: il documento finale “invita” i Paesi sviluppati ad apportare il sostegno finanziario necessario perché quelli in via di sviluppo possano sia ridurre le emissioni che adattarsi ai cambiamenti climatici: inoltre il Fondo Verde (che in teoria dovrebbe raccogliere 100 milioni di dollari l’anno, anche se non ai avvicina a questo livello) dedichi una parte delle risorse a mitigare “le perdite e i danni” irrimediabili che i cambiamenti climatici stanno già provocando.

Sta di fatto che la grande inascoltata della Cop 25 rimane – oltre a una società civile ben più avanti della politica – la scienza: i dati attuali indicano un aumento delle temperature di oltre tre gradi centigradi, contro i due o l’optimum di 1,5 C previsto dagli accordi di Parigi. Il che significa che nel primo caso le emissioni attuali andrebbero dimezzate, mentre nel secondo il taglio dovrebbe essere cinque volte quello attuale: come prevede l’accordo di ieri, prima della Cop 26 di Glasgow i vari Paesi dovranno perciò presentare un nuovo – e più ambizioso – piano di riduzione, ma intanto sarà già passato un altro anno. askanews

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