Consiglieri regionali, no indennizzo se assolti. Cassazione dà ragione all’Assemblea regionale siciliana

La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Assemblea Regionale Siciliana contro il pagamento dell’indennita’ a favore di un deputato regionale dell’ Ars, A. C., che nel 1994 venne sospeso dalla carica per un mese (2 novembre – 2 dicembre) dal presidente del Consiglio dei ministri (legge 55 del 1990) perche’ raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito di un processo penale che si concluse con una assoluzione davanti al Tribunale di Catania nel 1998. Il deputato si era visto rifiutare la richiesta di indennita’ dal Tribunale di Palermo (luglio 2003), mentre la sua rivendicazione era stata interamente accolta in appello (luglio 2007). Ora la Cassazione ha ribaltato il verdetto d’appello, accogliendo il ricorso dell’Ars. Nel dettaglio, l’Assemblea Regionale Siciliana si e’ rivolta a piazza Cavour facendo notare che le indennita’ che spettano al parlamentare sono legate “esclusivamente all’esercizio effettivo della funzione” per cui durante il periodo della sospensione “l’indennizzo resta privo di titolo”. La Prima sezione civile – sentenza 6557 – ha giudicato “fondato” il ricorso di Ars e ha evidenziato che “la Corte di appello non ha formalmente ravvisato la fonte del diritto del consigliere regionale a percepire il trattamento economico connesso alla sua funzione, in conseguenza della sua sospensione cautelare per effetto di procedimento penale, poi concluso in modo favorevole con la revoca della stessa misura”.

La Cassazione, in particolare, chiarisce che “l’asserita retroattivita’ della sospensione poi revocata spiega i suoi effetti quando si tratti di considerare non compiuto un atto illegittimamente emanato; o di considerare viceversa come compiuto un atto illegittimamente omesso, ma non puo’ eliminare nella sua materialita’ un fatto realmente avvenuto. E ancora meno fare in modo che nella realta’ dei fatti sia accaduto un avvenimento che per contro non si e’ verificato, come nel caso le prestazioni connesse alla carica di deputato regionale che A. C. durante la sospensione non ha reso all’Assemblea: percio’ – chiariscono ancora gli ‘ermellini’ – facendo venire meno il diritto alla prestazione dallo stesso derivante”. E se e’ vero, riconosce ancora la Suprema Corte, che “l’inadempimento non e’ dipeso dalla volonta’” del deputato “perche’ causato dal procedimento penale e dalla misura cautelare adottata nel corso di questo”, e’ anche vero che “all’intera vicenda e’ rimasta estranea l’Assemblea regionale alla quale neppure e’ imputabile la mancata prestazione”. La Cassazione cita la Corte Costituzionale, ricordando che in questa “anomala situazione spetta esclusivamente al legislatore il contemperamento dei contrapposti interessi, nonche’ la scelta, di volta in volta, della compiuta disciplina delle implicazioni d’ordine economico, connesse all’attivita’ pubblica non svolta”.

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