Consulta, scelta ricerca embrioni spetta solo a Parlamento
LA STORIA DI UNA DONNA Secondo la Corte costituzionale è una “scelta divisiva” che compete a “interprete volontà collettività” di Maurizio Balistreri
di Maurizio Balistreri
La Corte Costituzionale chiama il Parlamento: la scelta se ammettere la ricerca sugli embrioni ‘compete unicamente al legislatore’. A fronte della ‘scelta tragica’ tra ‘il rispetto del principio della vita, che si racchiude nell’embrione ove pur affetto da patologia’ e ‘le esigenze della ricerca scientifica’, una scelta ‘così ampiamente divisiva sul piano etico e scientifico’, risolta in modi diversi anche dai Paesi europei, ‘il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto’ spetta al Parlamento, ‘unicamente al legislatore’, ‘quale interprete della volontà della collettività’: ecco perché il 22 marzo scorso la Corte costituzionale ha respinto come inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal tribunale di Firenze, sull’articolo 13 della legge 40 sulla procreazione assistita, che stabilisce il divieto di ricerca sugli embrioni, anche su embrioni non impiantabili, non idonei ad una gravidanza e malati. Ieri sono state depositate le motivazioni di quella decisione, assunta dopo una lunga discussione, con la quale la Corte spiega perché spetta al legislatore il compito di risolvere il ‘conflitto conflitto, gravido di implicazioni etiche oltreché giuridiche, tra il diritto della scienza e il diritto dell’embrione’.
Al tribunale di Firenze, una donna che si era sottoposta a trattamento di procreazione medicalmente assistita chiedeva, con proprio coniuge, di ordinare al centro medico al quale si era rivolta, di riconsegnarle gli embrioni prodotti, per destinare i nove embrioni risultati non impiantabili ad attività mediche diagnostiche e di ricerca scientifica, connesse alla propria patologia genetica; patologia che era stata trasmessa agli embrioni. ‘La questione, così sollevata – annota la Consulta – rimanda al conflitto, gravido di implicazioni etiche oltreché giuridiche, tra il diritto della scienza (e i vantaggi della ricerca ad esso collegati) e il diritto dell’embrione, per il profilo della tutela (debole o forte) ad esso dovuta in ragione e in misura del (più o meno ampio) grado di soggettività e di dignità antropologica che gli venga riconosciuto’; un conflitto ‘in ordine alla cui soluzione i giuristi, gli scienziati e la stessa società civile sono profondamente divisi. Ed anche le legislazioni, i comitati etici e le commissioni speciali dei molti Paesi che hanno affrontato il problema, approfondendone le implicazioni, sono ben lungi dell’essere pervenuti a risultati su cui converga un generale consenso’.
Dalla giurisprudenza ricordata anche dalla corte emerge ‘la dignità dell’embrione, quale entità che ha in sé il principio della vita (ancorché in uno stadio di sviluppo non predefinito dal legislatore e tuttora non univocamente individuato dalla scienza), costituisce, comunque, un valore di rilievo costituzionale’ e ‘la tutela dell’embrione non è suscettibile di affievolimento (ove e) per il solo fatto che si tratti di embrioni affetti da malformazione genetica, e nella stessa è stata individuata la ratio della norma penale incriminatrice della condotta di soppressione anche di embrioni ammalati non impiantabili’. Ma ‘come ogni altro valore costituzionale, anche la tutela dell’embrione è stata ritenuta soggetta a bilanciamento, specie al fine della ‘tutela delle esigenze della procreazione’ ed a quella della salute della donna’. Ma la questione ‘inerente il bilanciamento costituzionalmente ragionevole tra tutela dell’embrione e interesse alla ricerca scientifica finalizzata alla tutela della salute (individuale e collettiva)’ su cui è chiamata a decidere la corte è ‘nuova’. Una questione non risolta neanche dalla Corte di Strasburgo, che ha dichiarato non ricevibile il ricorso per denunciata violazione del diritto della persona al rispetto dei suoi beni, lasciando deliberatamente in disparte la ‘delicata e controversa questione del momento in cui inizia la vita umana’, ritenendo, viceversa, decisiva ed assorbente la considerazione che gli embrioni non possono essere ricondotti al rango di ‘beni’.
E nella stessa sentenza, la Corte di Strasburgo, ha, comunque osservato, in premessa, che ‘la questione della donazione degli embrioni non destinati a impianto solleva chiaramente delicate questioni morali ed etiche’ e ‘non esiste un vasto consenso europeo in materia’. Diciassette, dei quaranta Stati membri dei quali la Corte possedeva informazioni hanno, infatti, adottato un approccio permissivo, altri Paesi hanno leggi che vietano espressamente qualunque ricerca sulle cellule embrionali, ed altri ancora consentono la ricerca a condizioni rigorose. ‘L’Italia non è, pertanto – ricorda la Consulta – l’unico Stato membro del Consiglio d’Europa che vieta la donazione di embrioni umani alla ricerca scientifica’. Per questo il legislatore italiano disponendo con l’articolo 13 della legge 40 che ‘la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative’, per la Consulta e la Corte di Strasburgo ‘non entra in collisione con i parametri europei’.
La Consulta riconosce però il dibattito sul punto in corso in ambito scientifico e giuridico, e nella società civile, dibattito che registra una crescente ‘divaricazione’. Quindi ‘a fronte di quella che qualcuno ha definito ‘una scelta tragica’, tra il rispetto del principio della vita (che si racchiude nell’embrione ove pur affetto da patologia) e le esigenze della ricerca scientifica – una scelta, come si è detto, così ampiamente divisiva sul piano etico e scientifico, e che non trova soluzioni significativamente uniformi neppure nella legislazione europea – la linea di composizione tra gli opposti interessi, che si rinviene nelle disposizioni censurate, attiene all’area degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale’. Anche negli Stati europei dove la ricerca è stata ammessa la scelta infatti è arrivata ‘sempre e soltanto per via legislativa’. ‘È quella, dunque, recata dalla normativa impugnata una scelta di così elevata discrezionalità, per i profili assiologici che la connotano, da sottrarsi, per ciò stesso, al sindacato di questa Corte’, scrive la Consulta. Anche perché i bilanciamento dei valori in conflitto si deve misurare con ‘una serie di molteplici opzioni intermedie, che resterebbero, anch’esse, inevitabilmente riservate al legislatore’.
Perché la rimozione del divieto, avverte la Corte apre a tuta una serie di scenari sui quali spetta al Parlamento intervenire: ‘Unicamente al legislatore, infatti, compete la valutazione di opportunità (sulla base anche delle ‘evidenze scientifiche’ e del loro raggiunto grado di condivisione a livello sovranazionale) in ordine, tra l’altro, alla utilizzazione, a fini di ricerca, dei soli embrioni affetti da malattia – e da quali malattie – ovvero anche di quelli scientificamente ‘non biopsabili’; alla selezione degli obiettivi e delle specifiche finalità della ricerca suscettibili di giustificare il ‘sacrificio’ dell’embrione; alla eventualità, ed alla determinazione della durata, di un previo periodo di crioconservazione; alla opportunità o meno (dopo tali periodi) di un successivo interpello della coppia, o della donna, che ne verifichi la confermata volontà di abbandono dell’embrione e di sua destinazione alla sperimentazione; alle cautele più idonee ad evitare la ‘commercializzazione’ degli embrioni residui’. E per Filomena Gallo e Marco Cappato, rispettivamente segretario e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, ‘questa sentenza non dichiara infondata la questione di costituzionalità, ma rimanda al legislatore il compito di risolvere il conflitto tra le ragioni dei vari soggetti in campo’. ‘Questa sentenza non chiude di fatto la questione, ma rilancia una responsabilità del legislatore’, per questo l’associazione va oltre e chiede – ‘forti del sostegno della comunità scientifica internazionale – al governo ‘di non attendere nuove decisioni, ma di emanare un atto urgente che dichiari lecita la ricerca su blastocisti non idonei per una gravidanza, previo consenso della coppia che li dona alla ricerca’. Perché ‘investire sul futuro della ricerca per malattie ancora incurabili significa tutelare la vita’.