Conte 2 stanzia pochi soldi sulla Scuola: ministro Fioramonti si dimette, Morra in pole

Conte 2 stanzia pochi soldi sulla Scuola: ministro Fioramonti si dimette, Morra in pole
Lorenzo Fioramonti
26 dicembre 2019

Le dimissioni del ministro Lorenzo Fioramonti, arrivate a Natale, anticipano il mese di fuoco che attende il governo alla ripresa dell’attivita’ politica. Sono diversi, e anche ‘delicati’ per gli equilibri interni, gli appuntamenti da segnare in rosso sul calendario. La prima mina da disinnescare sara’, entro il 7 gennaio, quella della prescrizione che vede l’un contro l’altra schierati M5s, da una parte, e Partito Democratico (assieme ai renziani) dall’altra. Il giorno dopo dovrebbe esserci l’incardinamento della nuova legge elettorale alla Camera. Il 12 scadra’ il termine per presentare la richiesta di referendum sul taglio dei parlamentari mentre, il 15 gennaio, la Consulta si esprimeta’ sulla richiesta di referendum presentata dalla Lega per abolire il proporzionale dal Rosatellum. Il 26, poi, la ‘prova del fuoco’ per l’esecutivo con le elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna. Ma andiamo con ordine. “Due giorni fa ho inviato al presidente del Consiglio la lettera formale con cui rassegno le dimissioni da ministro dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca”, scrive Fioramonti in un post su Facebook. Per cortesia istituzionale, ho atteso nel rendere pubblica la notizia e mi sono messo a completa disposizione per garantire una transizione efficace al vertice del ministero, nei tempi opportuni per assicurare continuita’ operativa. Prima di prendere questa decisione, ho atteso il voto definitivo sulla Legge di Bilancio, in modo da non porre questo carico sulle spalle del Parlamento in un momento cosi’ delicato”. Le ragioni dell’addio stanno, spiega ancora il ministro, tutte in una legge di bilancio che stanzia poche risorse sul comparto scuola, universita’ e ricerca. D’altra parte, Fioramonti lo aveva detto settimane fa: “Tre miliardi alla scuola o mi dimetto”. Risorse che, accusa oggi, non sono arrivate.

Una tegola piovuta su un governo gia’ provato da mesi di tensioni interne proprio a causa delle manovra economica. Se da un lato, infatti, le forze di maggioranza possono essere soddisfatte per avere evitato di innescare le clausole di salvaguardia e l’aumento dell’Iva, dall’altra le stesse forze hanno potuto verificare le distanze che permangono su temi quali, ad esempio, le riforme, la giustizia e la legge elettorale. Gia’ subito dopo l’Epifania maggioranza e governo dovranno affrontare il nodo della prescrizione. Salvo cambi di programma, infatti, e’ stato fissato per il 7 gennaio un nuovo vertice sulla riforma della prescrizione, che a quel punto sara’ gia’ entrata in vigore da sei giorni. Non a caso i renziani, contrari allo stop della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia essa di assoluzione o condanna, come prevede la norma Bonafede, hanno gia’ definito “inutile” vedersi dopo l’avvio del 2020, lasciando intendere che, qualora non sopraggiungano novita’ prima del 31 dicembre, potrebbero disertare il vertice. Ma anche il Pd, pur con toni meno barricaderi, non restera’ alla finestra: i dem hanno annunciato una loro proposta di legge da presentare a breve in parlamento, chiedendo anche loro che il vertice venga anticipato, altrimenti faranno partire l’iter del provvedimento in commissione. E i numeri non sono sicuramente dalla parte dei 5 stelle, che finora tengono il punto: tranne i pentastellati, infatti, tutte le altre forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione, sono fortemente critiche nei confronti della riforma. L’8 gennaio scadranno i termini per la presentazione degli emendamenti alla proposta di legge di Enrico Costa (FI), che punta ad abrogare tout court la riforma Bonafede. E non e’ escluso che possa essere lo strumento utilizzato dai detrattori della nuova prescrizione per mettervi la parola fine.

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Sempre mercoledi’ 8 gennaio la maggioranza dovrebbe incardinare in commissione Affari costituzionali della Camera il testo della nuova legge elettorale. Almeno stando al nuovo timing che i giallorossi si sono dati. Il che presuppone che nei primi giorni di gennaio, se non prima, la maggioranza riesca a raggiungere l’intesa su uno dei due modelli prescelti: ovvero, un proporzionale simil spagnolo o un proporzionale con sbarramento nazionale al 5%. Su entrambi, pero’, pesa il veto di una delle forze che sostengono il governo: lo spagnolo non e’ ben accetto dai renziani, il 5% non piace a Leu. Dunque, il nuovo sistema di voto potrebbe trasformarsi in una ‘spina’ per i giallorossi. Pochi giorni dopo, precisamente il 12 gennaio, scadra’ il termine dei tre mesi per presentare la richiesta di referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Le firme necessarie sono gia’ state raccolte: sono infatti 64 i senatori (tra cui anche tre M5s) che hanno aderito all’iniziativa. Ma fino al 12 gennaio tutto sara’ possibile, compresa l’ipotesi – secondo rumor delle ultime ore – che alcuni dei firmatari ritirino la propria sottoscrizione. Il 12 gennaio, in ogni caso, sara’ una data rilevante per la legislatura e lo stesso governo, sia che il referendum si svolga – la finestra cade tra aprile e giugno – sia in caso contrario, in quanto potrebbe prevalere la tentazione di tornare a votare in anticipo per evitare la sforbiciata di 345 parlamentari. Tre giorni dopo, il 15 gennaio, e’ atteso il responso della Consulta sul referendum leghista che mira a ripristinare il sistema maggioritario, eliminando dal Rosatellum la quota proporzionale. Il via libera al referendum potrebbe dare uno ‘scossone’ alla maggioranza, impegnata nel frattempo in una difficile mediazione sul proporzionale, e fare da spinta a chi mira alle urne anticipate.

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Altro appuntamento delicato per il governo sara’ la verifica chiesta da alcune forze di maggioranza e rilanciata dal premier Giuseppe Conte. Tutti i protagonisti hanno parlato genericamente di “gennaio”, senza l’indicazione di una data precisa. Ma, viste le continue fibrillazioni interne, e i diversi nodi ancora da sciogliere – dal fronte giustizia all’Autonomia differenziata, per fare alcuni esempi – non e’ escluso che l’appuntamento ‘chiarificatore’ nel governo possa slittare a dopo le Regionali. Ed e’ proprio con le elezioni in Emilia e Calabria che si chiude il ‘rovente’ mese di gennaio. Non e’ un mistero che l’esito del voto, soprattutto in Emilia Romagna, possa fare da spartiacque: una sconfitta del Pd nella storica regione rossa e la vittoria della Lega salviniana potrebbe innescare un effetto domino che non e’ escluso possa travolgere lo stesso governo. Un’altra data potrebbe diventare ‘critica’ per la tenuta della maggioranza. Anche se non si tratta di un appuntamento che riguarda direttamente e in senso stretto il governo, il voto in Giunta per le immunita’ del Senato sul ‘caso Gregoretti’ potrebbe infatti mettere a serio rischio l’unita’ dei giallorossi. Riflettori puntati su Italia viva. Il voto sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, avanzata dal Tribunale dei ministri di Catania dovrebbe svolgersi attorno al 20 gennaio. I 5 stelle, con il capo politico Luigi Di Maio e il Guardasigilli Alfonso Bonafede si sono schierati per il si’ all’autorizzazione, a differenza di quanto avvenne per il ‘caso Diciotti’, quando la Lega era al governo con i pentastellati.

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Pd e Iv non si sono ancora espressi nel merito: attendono di studiare le carte, ma i tre senatori renziani potrebbero diventare l’ago della bilancia in Giunta qualora decidessero per il no o per una piu’ prudente astensione. La vicenda e’ gia’ al centro di un duro scontro tra governo e leader leghista, con uno scambio di ‘carte’ e di accuse reciproche. Salvini e’ accusato di “sequestro di persona aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale, dall’abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonche’ per avere commesso il fatto anche in danno di soggetti minori di eta’”. L’episodio incriminato e’ avvenuto lo scorso luglio, poco prima che la Lega aprisse la crisi di governo: l’allora ministro dell’Interno non consenti’ lo sbarco a 131 migranti rimasti per giorni a bordo della nave. Intanto, è già scattato il toto-nomi sul dopo Fioramonti. A spiccare sembra essere l’attuale presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, anche lui del M5S anche se altri nomi filtrati in queste ore portano sulle tracce di Nunzio Angiola, Gianluca Rospi e Andrea Cecconi. A non fare sconti le opposizioni. “Il governo non ha perso un ministro, ma ha fatto perdere all’Italia un anno di educazione civica, bloccando la nostra legge”, ha dichiarato Massimiliano Capitanio della Lega. “È questa una delle tante e gravi responsabilità morali di Conte e del Pd. Le dimissioni natalizie di Fioramonti e le voci di un nuovo gruppo parlamentare dimostrano cosa interessi davvero a certi personaggi”. Questo mentre il capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione istruzione della Camera, Federico Mollicone, ha aggiunto che “se un ministro si dimette per l’insufficienza dei fondi stanziati per la scuola e l’università si dimostra il fallimento delle politiche scolastiche del governo PD-M5S di cui faceva parte. Diciamo, però, che lui era la ‘padella’ e ora temiamo ‘la brace'”.

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