Il Movimento 5 stelle inizia a orientare la bussola verso un possibile sì al governo di Mario Draghi, anche se il percorso resta accidentato. Il premier uscente Giuseppe Conte garantisce di non voler ostacolare il compito dell’ex presidente della Bce e si offre come riferimento dei 5 stelle nel quadro di una collaborazione con Pd e LeU. Il leader ombra Luigi Di Maio, forse rassicurato dai feedback ricevuti sulla sua richiesta di un “governo politico”, che significa Draghi ma con ministeri importanti per i gruppi che lo appoggiano, aggiusta la linea in corsa e spinge il Movimento a un confronto senza pregiudiziali. “Comprendo gli animi e gli umori di queste ultime ore”: inizia così, con questa dichiarazione di Di Maio, prima ancora delle parole di Conte, la svolta del M5S. “E’ proprio in queste precise circostanze che una forza politica si mostra matura agli occhi del Paese”, avverte, facendo appello al “rispetto istituzionale”. L’ex capo politico traccia così la strada sule consultazioni: il M5S, dice, ha “il dovere di partecipare, ascoltare e di assumere poi una posizione sulla base di quello che i parlamentari decideranno”.
“In queste ore qualcuno mi descrive come un ostacolo alla formazione del nuovo governo, evidentemente non mi conosce o è in mala fede, i sabotatori vanno cercati altrove “, rivendica Conte parlando all’aperto davanti a palazzo Chigi, in un piccolo set studiato per l’occasione dal suo uomo di fiducia, con palazzo Montecitorio a fare da scenografia. “Auspico un governo politico che sia solido e abbia quella sufficiente coesione per operare scelte politiche, eminentemente politiche”, dice, schierandosi con la necessità del M5S di condizionare un eventuale sì alla possibilità di pesare anche nel prossimo esecutivo. “Ci sono e ci sarò”, promette al M5S, mentre “agli amici di Pd e Leu dico che dobbiamo continuare a lavorare insieme”. “Di Maio ha avuto garanzie per sé e la famiglia allargata: il suo corposo staff e i suoi amici nominati in posizioni interessanti”, è l’interpretazione non troppo benevola di una fonte governativa. Il dibattito interno, spiega una fonte parlamentare stellata, in buona sostanza si articola “su tre filoni: i sì quasi certi, i contrari e il grosso dei gruppi”: che potrebbe dire sì a un “governo politico” ma chiede garanzie di non dover subire troppe umiliazioni dopo la sconfitta nella battaglia per il Conte 3.
Fra i già convinti o quasi, può essere annoverato il ministro degli Esteri ma anche qualche figura vicina al presidente della Camera Roberto Fico, come il ministro uscente Federico D’Incà. I contrari sono divisi al loro interno fra seguaci del No Draghi Alessandro Di Battista, che però saranno probabilmente abbandonati al loro destino dall’ex deputato che non intende rischiare tutto promuovendo una scissione, ed ex ‘contiani’ come Paola Taverna. Questi ultimi si stanno rimettendo in movimento dopo le parole del premier uscente. La terza via è rappresentata da chi ricorda che il M5S resta il gruppo più corposo in Parlamento, dispone ancora di non pochi presidenti di commissione, qualunque maggioranza che lo escludesse non avrebbe vita facile e prova quindi a difendere qualcosa delle battaglie storiche del Movimento. E’ il “corpaccione” del Movimento, spiega un senatore di grande esperienza, che “è alla ricerca di una linea, di una indicazione, di un chiarimento politico dopo che si era trovato a fare i conti con il “no” al governo tecnico pronunciato dal capo politico reggente Vito Crimi con l’avallo silenzioso del fondatore Beppe Grillo.
Ed è proprio Crimi che prova a fare sintesi dando voce ai timori e ai dubbi della maggioranza, senza tornare sulla prima “chiusura” annunciata martedì sera. . Sabato nelle consultazioni, annuncia, “ascolteremo attentamente” Draghi ma “porteremo al tavolo il Movimento 5 stelle con la sua storia, le sue battaglie e le sue visioni. E, chiaramente, fra queste il reddito di cittadinanza è uno dei punti fermi”. Dopo la difficile assemblea-sfogatoio di mercoledì, quando gli “aperturisti” nei confronti di Draghi si erano manifestati con una certa timidezza, il doppio segnale di Conte e Di Maio sposta i termini della discussione interna. Due esempi provenienti dal senato lo dimostrano in modo lampante: Paola Taverna, uno dei big più esposti nel no iniziale a Draghi, twitta: “Al Paese serve un Governo politico. I problemi da risolvere in questo momento non possono essere risolti da tecnici. Sono necessarie decisioni politiche! Grazie Conte!”.
Mentre Primo Di Nicola, da tempo convinto della necessità di non ignorare gli appelli del presidente Mattarella, si schiera apertamente pro-Draghi: “I partiti – dice – saranno coinvolti e non ci sarà Governo più politico di quello di Draghi. Dovremo scegliere se abbandonarlo al centro destra, oppure accettare la sfida condizionando e recitando anzi un ruolo da protagonisti”. Nella posizione mediana, fra gli altri, si colloca il vicepresidente dell’Europarlamento Fabio Massimo Castaldo. Richiama al rispetto della Costituzione e quindi al dovere di confrontarsi col presidente incaricato, ma avverte: “E’ evidente che non può essere la prima forza a cedere sulle sue battaglie fondamentali, subendo le imposizioni degli altri su tutta la linea” altrimenti non è “negoziazione, ma capitolazione”. Ma quale potrebbe essere il punto di caduta accettabile per il M5S? “Secondo me – è l’interpretazione di un deputato di lungo corso – Renzi potrebbe accontentarsi di avere avuto la testa di Conte e forse quella di Bonafede, con le modifiche alla prescrizione”. Si salverebbero così la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, l’economista Pasquale Tridico alla presidenza dell’Inps “e soprattutto il reddito di cittadinanza, che per noi è anche un simbolo”. E la maggioranza? Va bene anche governare con Berlusconi? “Nessuno – osserva – è intervenuto sul tema Forza Italia, che possiamo farci?”. askanews