Lo scontro sulla manovra e sul caso Savoini è l’ultimo in ordine di tempo fra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno. Un anno e mezzo circa di convivenza animata da “odio-amore”. Essenza che renderà vivace il rapporto tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini fino alla fine del governo gialloverde. E non solo perché il professore di Diritto privato è stato sempre sponsorizzato dal MoVimento 5 Stelle (oltre per Palazzo Chigi, nel 2013 come membro dell’organo di autogoverno della Giustizia amministrativa), ma soprattutto perché il ministro dell’Interno e il premier hanno dimostrato di avere poca sintonia su vari temi politici e per i quali a volte si sono accesi aspri confronti a tal punto da far tremare Palazzo Chigi. A partire dall’annosa questione dei migranti, per la quale l’Europa continua a lavarsene le mani, scaricando il problema agli italiani.
Su questo fronte, Salvini è stato inflessibile, attuando la linea “porti chiusi”. Mentre più volte, Conte, ha tentato di “isolare” il suo ministro forte di aver avuto la disponibilità di alcuni partner europei per l’accoglienza. Ma come sappiamo, il problema non è la distribuzione dei migranti, ma una politica europea sull’immigrazione, che fa acqua da tutte le parti. Un esempio per tutti è il recente caso della Sea Watch 3. Tra le varie affermazioni del premier, quella di far sbarcare alcuni migranti, malgrado la ferma contrarietà del vicepremier leghista. “Se non li faremo sbarcare, li andrò a prendere con l’aereo e li porterò (in Italia, ndr)”, aveva addirittura annunciato. Senza contare le divergenze sulla Tav, specie dopo che Conte aveva sposato inizialmente la linea dei Cinquestelle dello stop all’opera dopo l’analisi costi-benefici negativa. Linea che, però, è stata successivamente ammorbidita dal premier per trasformarsi un una semplice ridiscussione delle modalità della linea dell’Alta velocità. La cronaca è ricca di queste scaramucce.
Ancora vivo il siparietto sulle dimissioni di Armando Siri, parlamentare della Lega ed ex sottosegretario costretto a lasciare per una inchiesta su presunte tangenti. In questo caso, a giocare d’anticipo su Conte è stato Salvini. Una nota della Lega, mezz’ora prima della conferenza stampa del premier, in sostanza, annunciava che Siri era innocente e che non si dimetteva. Mossa che ha spiazzato il premier che ha dovuto posticipare la relativa conferenza stampa nella quale, fra l’altro, s’è limitato a leggere un discorso, non permettendo ai giornalisti di fare domande. Un clima che la dice lunga sui rapporti tra il Professore e il capo del Carroccio. Episodi che hanno costellato l’intera fase del governo gialloverde. Eloquenti anche le sciabolate a Palazzo Chigi sul decreto Sicurezza bis. Norma che ha fatto registrare Consigli dei ministri annunciati e poi annullati, vertici fatti e poi smentiti. Scenari che hanno sfiorato la farsa e che hanno portato alla Lega a manifestare “dubbi di imparzialità” sul premier.
“Se si mette in discussione” il presidente del Consiglio “la grammatica costituzionale richiede che chi lo faccia sia assuma la responsabilità”, aveva replicato lo stesso Conte. Sta di fatto, che il premier e il vicepremier andavano allo scontro, dopo un Cdm di circa tre ore, dove alla fine sia l’esame del decreto Sicurezza bis, veniva rinviato. Anche la flat-tax è terreno di battaglia. La prima mossa l’ha fatta Salvini: facciamo la manovra economica già in estate, per “non dare il sangue all’Europa”. Mossa fatta, manco a dirlo, senza confrontarsi con i partner del M5s, rilanciando un’idea esplicitata più volte: lavorare allo “shock fiscale”. Subito la contromossa di Conte che al G20 di Osaka s’è intestato i tempi del provvedimento-bandiera del suo vice, incasellandolo in una più ampia riforma fiscale. Come dire, poi vedremo.
Che la questione è politica è più che evidente. Di certo il livello dello scontro fra Conte e Salvini s’è alzato sulla preparazione di quella che molti continuano a definire manovra finanziaria ma è invece la preparazione del nuovo bilancio e relativa legge cosiddetta di stabilità per il 2020. Alla rivendicazione delle proprie competenze fatta dal presidente del Consiglio di fronte agli incontri con le cosiddette parti sociali programmati al Viminale, Salvini ha opposto qualcosa in un certo senso di inedito, precisando di essere il vice presidente “vicario” del Consiglio, superiore quindi di grado al vice grillino Luigi Di Maio, e non solo per ragioni di età. E se a ciò, aggiungiamo le ragioni politiche del sorpasso alle Europee, da parte della Lega sui 5 stelle, l’avvertimento di Salvini nel ribadire di essere titolato a stare sulla plancia di comando è più che chiaro. Il che vuol dire che “odio-amore” è sempre vivo.