Con quasi quarantamila casi e 2.700 decessi la Spagna si avvia verso un macabro sorpasso come capofila europeo dell’epidemia di coronavirus: la curva ha assunto un andamento ancora più elevato rispetto a quello italiano nello stesso periodo, e per valutare gli effetti delle draconiane misure adottate dal governo, compreso lo stato di allarme, occorrerà ancora del tempo. La scenario attuale è da tregenda, in particolare a Madrid, principale focolaio di contagio e dove l’esercito è intervenuto per bonificare edifici pubblici, ospedali e case di riposo: in queste ultime, lo spettacolo che si è offerto agli occhi dei militari parla di anziani abbandonati in condizioni del tutto insalubri, o addirittura deceduti nei loro letti.
La situazione nella capitale – la città in cui il coronavirus avanza più rapidamente nel mondo – quando ancora si attende il picco della curva, è di fatto al limite: le terapie intensiva sono ormai alla massima capienza, mentre il palaghiaccio è stato adibito a obitorio. Il tutto in uno scenario che per certi versi richiama quello italiano, ma presenta anche aspetti diversi che rendono la gestione della crisi più complessa. Come in Italia, anche in Spagna la sanità è regionalizzata: fa parte di quelle competenze che la Costituzione assegna alle singole Comunità autonome, come l’istruzione e in alcuni casi le forze di polizia e l’ordine pubblico – un aspetto quest’ultimo tornato alla ribalta con lo stato di allarme.
Sia la comunità autonoma di Madrid – governata dalla destra – che la Catalogna – controllata dagli indipendentisti hanno infatti chiesto delle misure più restrittive di quelle adottate dall’esecutivo guidato dal socialista Pedro Sanchez, che mediante il decreto varato nei giorni scorsi ha riaccentrato molte competenze eliminando i governi regionali dalla catena decisionale: in particolare, la Generalitat ha più volte invocato il confinamento totale della popolazione, che il Ministero della Sanità ha ritenuto almeno fino ad ora eccessivo. Quello che il governo ha invece fatto è schierare l’esercito con funzioni di controllo del rispetto delle disposizioni e sostegno sanitario grazie ai reparti di medicina militari: un dispiegamento che è stato accolto con molte riserve sia dalla Catalogna che dai Paesi Baschi, il cui governatore lo ha definito “del tutto non necessario”. Sia Barcellona che Vitoria considerano l’iniziativa – insieme al riaccentramento delle competenze in materia di sanità e ordine pubblico – un commissariamento mascherato delle rispettive comunità.
Se è vero che la proroga dello stato di allarme necessita dell’approvazione parlamentare – prevista domani – è altrettanto vero che i socialisti possono in questo caso contare sui voti della destra. Fino ad ora i governatori regionali hanno, con vari distinguo, appoggiato l’esecutivo. Se le cifre dovessero continuare a peggiorare a questo ritmo tuttavia sia la comunità di Madrid che la Generalitat potrebbero infrangere il fronte della solidarietà e costringere Sanchez ad adottare misure ancora più dure – o rischiare una guerra governo-regioni che non prometterebbe nulla di buono ad un esecutivo che quando la crisi sarà passata dovrà necessariamente trovare i voti per approvare la legge di bilancio. askanews