Cosa c’è da sapere sul film “The Mountain” di Rick Alverson

Lobotomia come metafora di un’America utopistica (ma distopica)

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Nell’America del 1954 il dottor Wallace Fiennes compie esperimenti di lobotomia, il personaggio si ispira a Walter Freeman che effettuò la lobotomia su Rosemary Kennedy, sorella del futuro presidente degli Stati Uniti, Jfk.

Con una fotografia suggestiva e una tecnica originale “The Mountain” di Rick Alverson – film in concorso alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia – porta a riflettere sulla “utopia” portata alle estreme conseguenze di poter cambiare i cosiddetti “difetti” dell’essere umano spegnendo il cervello chirurgicamente; come è stato spiegato in conferenza stampa dallo stesso regista Alverson e dal cast del film capitanato da Jeff Goldblum che interpreta Wallace Fiennes, Tye Sheridan un giovane fotografo che diventerà allievo del medico e da Hannah Gross una paziente lobotomizzata che anticipa le tematiche New Age.[irp]

Jeff Goldblum ha definito il film “geniale e poetico” e ha spiegato di averlo amato perché rappresenta, in un certo senso, “l’idea dell’utopia americana che spazia in assurde fantasie compiendo incredibili errori nella medicina come è avvenuto con la lobotomia, cercando soluzioni innaturali per risolvere i problemi dell’essere umano”. Il regista Rick Alverson, che nel suo film ha portato delle innovazioni anche di carattere tecnico, ha spiegato come la figura del dottor Fiennes sia ispirata appunto a quella di Walter Freeman “fautore della lobotomia, il quale trovò il modo per fare questo intervento senza avere una reale competenza nel 1954. Successivamente a quel periodo questa sua soluzione venne messa da parte preferendo l’utilizzo dei farmaci. A mio parere – ha proseguito – questa vicenda è anche metafora dell’ambizione molto maschile e americana di questo medico di ottenere dei risultati senza preoccuparsi delle conseguenze che la lobotomia poteva avere sulle persone”.[irp]

E il lavoro di documentazione anche da parte degli attori è stato accurato, come ha ricordato Goldblum. “Non conoscevo Freeman – ha continuato l’attore – ma ho visto il documentario, volevo saperne il più possibile sulla lobotomia. Freeman aveva un nonno che era un chirurgo molto famoso e lui voleva a sua volta crearsi una sua identità perfezionando questo tipo di intervento, appunto la lobotomia. Ha pensato anche di curare l’omosessualità o curare le donne che soffrivano di nervi e ha praticato la lobotomia perfino sui bambini”. Anche Hannah Gross, che nel film interpreta Susan, una paziente lobotomizzata, ha ricordato quanto avvenuto alla sorella di John Kennedy: “Il mio personaggio fatalmente accettava la procedura, non aveva una volontà di morte bensì voleva esiste su un piano diverso”.[irp]

Il film di Anderson affronta il delicato tema della malattia mentale, dei manicomi, di luoghi estremamente dolorosi come erano i nosocomi degli anni ’50. Tye Sheridan interpreta un ragazzo che incontra il medico dopo la lobotomia di sua madre, fa la scelta di divenire allievo e viene ingaggiato dal medico per documentare da fotografo la sua attività. Sheridan ha spiegato di avere già lavorato con Alverson “ne ammiro il coraggio a fare film come questi che non è facile da capire. Credo che in questo film la lobotomia rappresenti l’ambizione esagerata della chirurgia di poter aggiustare le persone intervenendo sul cervello. La pretesa assurda di guarire omosessuali e patologie mentali e, purtroppo, questa era una pratica utilizzata in quel periodo in America”.