“Così sono guarita grazie a Karol”. Toccante racconto di una donna che porterà Wojtyla nel novero dei santi

Avrà ripetuto il suo racconto decine di volte, di fronte a telecamere, microfoni, taccuini e alle platee più disparate. Ma ogni volta viene sopraffatta dall’emozione. E ieri, nel media center che ospita i giornalisti accreditati da tutto il mondo per la canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, non è andata diversamente. La commozione di Floribeth Mora Dìaz, la donna guarita per intercessione del Papa polacco, la protagonista del prodigio che porterà Wojtyla nel novero dei santi, era evidente e contagiosa. Con lei sono arrivati a Roma per partecipare alla solenne celebrazione di domenica prossima il marito Edwin Antonio e due figli (ne ha avuti cinque, uno è morto).
Con la voce spesso rotta dall’emozione la donna del Costa Rica ha ripercorso le tappe della sua malattia, iniziata “l’8 aprile 2011 con un fortissimo mal di testa”. Una corsa in ospedale e una tac che evidenzia un aneurisma puntiforme.

Immediato il ricovero, cure intensive ma il lato sinistro del corpo era paralizzato. Infine la sentenza dei medici: non erano in grado di intervenire, bisognava andare all’estero. “Ma non avevamo mezzi economici per una simile operazione – ha raccontato la signora Mora Dìaz – Mi dimisero, perché avevano fatto tutto quello che era nelle loro possibilità e non aveva più senso tenermi in ospedale. Mi diedero un mese di vita”. Toccante il ricordo della notizia data ai figli, le cure amorevoli del marito: “Mia figlia mi diceva “mamma, dimmi che non morirai…”. Mio figlio, che aveva 12 anni, veniva a dormire con me, per tenere i suoi piedi attaccati a me e non lasciarmi… Erano questi i momenti in cui chiedevo di più l’intercessione di Giovanni Paolo II: tu che sei così vicino a Dio, digli che non voglio morire, che non voglio abbandonare i miei figli. Avevo paura ma anche una fede forte”.

Poi, il giorno della beatificazione del Papa polacco (le 2 di notte in Costa Rica) “guardai la cerimonia in tv, mentre Papa Benedetto portava la reliquia. E mi addormentai. La mattina alle 8, quando mi svegliai, mi sentii diversa. Sentivo una voce che mi diceva di alzarmi ma mi guardai intorno e non vidi nessuno. Guardai la foto del Papa e sentii di nuovo la voce che mi di diceva “alzati, non aver paura”. Risposi di sì e non ebbi più dolore, mi diede pace. Entrai in cucina e mio marito mi chiese “amore, che fai qui?”. Risposi: sono guarita”. Seguirono i controlli, “con la faccia stupita del medico, che era molto serio – ha sottolineato Floribeth – e volle vedere gli esami precedenti, perché non credeva ai suoi occhi. Mentre facevo la risonanza, stava in silenzio, mio marito gli chiese “cosa vede?” e lui confermò: “niente”. Era importante, perché confermava quello che io dicevo”. Nel febbraio 2012 la signora decise di scrivere la sua testimonianza sul sito web di Giovanni Paolo II e la postulazione decise di proporre la sua storia per il miracolo necessario alla canonizzazione. “Nella mia umiltà – ha concluso – posso testimoniare la grandezza di Dio per l’intercessione di Giovanni Paolo II. Mi potete vedere, questo è per la gloria di Dio…”

Per Giovanni XXIII, invece, non c’è stato un secondo miracolo. Nessuna scorciatoia, come è stato chiarito dal prefetto della Congregazione per le cause dei santi, card. Amato, ma l’accoglimento di una petizione al S. Padre alla luce della sua indiscussa fama di santità. Ma ieri è stato ricordato il miracolo che lo aveva portato alla beatificazione, la guarigione di suor Caterina Capitani (morta nel 2010) ricordata da una consorella, suor Adele Labianca. Una guarigione inspiegabile, avvenuta nel 1966, grazie a una reliquia del Papa Buono, quando ormai la giovane suor Caterina era data per spacciata in seguito a una emorragia gastrica e alla successiva asportazione di gran parte dello stomaco. Nella sua testimonianza, raccontò di aver visto Papa Giovanni che gli disse: “Me lo avete proprio strappato dal cuore questo miracolo”. (Il Tempo)

 

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