Cresce resistenza agli antibiotici, consumi troppo elevati. Italia V in Ue

PARLA L’ESPERTO Il caso del batterio individuato in una donna negli Usa che non risponde alle terapie neppure con gli antibiotici più potenti è l’ultimo in ordine di tempo a lanciare l’allarme di Enzo Marino

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di Enzo Marino

Continua a crescere la resistenza agli antibiotici di ultima risorsa, i carbapenemi, utilizzati nella pratica clinica quando tutti gli altri antibiotici sono risultati inefficaci nel trattare una specifica infezione. Il caso del batterio individuato in una donna negli Usa che non risponde alle terapie neppure con gli antibiotici più potenti è l’ultimo in ordine di tempo a lanciare l’allarme su una questione che da tempo è all’attenzione degli studiosi. In Italia la resistenza, ad esempio della Klebsiella pneumoniae, agli antibiotici si è impennata bruscamente nel 2010 e si è assestata intorno al 30% di tutti i ceppi isolati da batteriemie. Ma una sorveglianza nazionale che riceve segnalazioni dalle Regioni è attiva dal 2013 e indica che il problema è, forse, anche maggiore. In Europa, l`Italia, insieme alla Grecia, è il Paese in larga parte responsabile per questo aumento della resistenza ai carbapenemi, come risulta dalla sorveglianza sentinella sul fenomeno coordinata dall`Istituto Superiore di Sanità, che fornisce i dati alla sorveglianza Europea EARS-Net, riportati dal ministero della Salute. Ma non solo il batterio della Klebsiella si è fatto forte. Le resistenze più critiche riguardano Escherichia coli, (alta resistenza a fluorochinoloni e cefalosporine di terza generazione), Acinetobacter (resistenza ai carbapenemi vicino all`80%), Pseudomonas aeruginosa (resistenza a ceftazidime e aminoglicosidi) e Staphylococcus aureus (proporzione di ceppi meticillino-resistenti superiore al 30%). Il principale fattore che gioca in favore dell`antibiotico-resistenza, chiarisce il ministero della Sanità, è proprio l`elevato consumo di antibiotici.

L`Italia è in Europa al quinto posto per utilizzo di antibiotici sul territorio per la salute umana. A testimoniare un uso esagerato degli antibiotici è il rapporto, basato sui dati della sorveglianza Esac-net dell’Unione Europea. Il dato medio europeo di consumo fuori dagli ospedali per il 2014 – sono sempre i dati del ministero – è 21,6 dosi al giorno ogni mille abitanti, e varia dalle 10,6 dell’Olanda alle 34,6 della Grecia. L’Italia, con 27,8 dosi, è al quinto posto, dietro a Francia, Romania e Belgio. Per quanto riguarda il consumo di antibiotici negli ospedali la media europea è sostanzialmente stabile a 2 dosi al giorno ogni mille abitanti. Anche in questo caso i più virtuosi sono gli olandesi, con una dose al giorno, mentre i peggiori sono i finlandesi con 2,6, mentre l’Italia resta sopra la media europea con 2,2 e in generale, a parte l’eccezione finlandese, il sud Europa prevale nel consumo. Già nel 2001 il Consiglio dell`Unione europea aveva inviato ai vari Paesi una raccomandazione invitandoli ad adottare iniziative atte ad assicurare un uso prudente di antibiotici. Alcuni anni fa alcuni Paesi hanno avviato programmi nazionali comprendenti campagne di sensibilizzazione dei cittadini, registrando una diminuzione sia del consumo di antibiotici sia della resistenza.

Per combattere questa guerra, servono “nuove molecole ma anche un approccio nuovo su come utilizzarle”, spiega ad Askanews, Maurizio Sanguinetti, microbiologo, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore: “Correre dietro ai batteri è qualcosa che non funziona – osserva – se continuiamo a farlo, in 70 anni al massimo resteremo senza armi”. “La segnalazione arriva dagli Usa – prosegue – ma il batterio era già stato segnalato in precedenza in Cina. Il caso in sè non ha molto significato perchè non è altro che un’infezione urinaria, diciamo però, che è stato fatto l’ultimo passo, nel senso che la colistina era l’ultimo tentativo”. “Stanno uscendo un certo numero di nuovi farmaci – spiega ancora lo studioso – . Nuove molecole per colpire bersagli vecchi. Molecole che in alcuni casi superano alcune delle resistenze con cui abbiamo a che fare. Bisognerà anche vedere come verranno definiti i costi dall’Aifa”. Perchè, ricorda, “è anche e soprattutto una questione di costi: molto dipende dai soldi che ci si mettono. In alcuni Paesi, Stati Uniti, Gran Bretagna, c’è un investimento significativo nella messa a punto di nuovi farmaci ma anche di nuove stretegie”. Nuove molecole e nuovi modi di usare queste molecole: “Potenziando, ad esempio, le capacità diagnostiche che si possono avere delle infezioni possiamo utilizzare meglio gli antibiotici: più accurata è la diagnosi che facciamo, meglio utilizzeremo i nuovi farmaci”.