La batosta presa da M5s alle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria non fa che aumentare lo scontro tra quanti nel Movimento vanno dicendo da tempo che da soli non si vince e ormai, forti dell’esperienza di governo con il Pd, bisogna ancorarsi a un campo progressista e chi, come l’attuale reggente Vito Crimi, chiude a un’alleanza strutturale alternativa alle destre anche nel giorno in cui è il premier Giuseppe Conte a caldeggiarla apertamente. “Non dobbiamo replicare gli altri partiti, non dobbiamo creare qualcosa di strutturale con gli altri partiti. Dobbiamo lavorare sui temi, non sulla collocazione. Ho ascoltato Zingaretti, Conte l’ho sentito al telefono poco fa e l’idea è di lavorare sui progetti che riguardano i cittadini. Non parlerei di collocazione. Oggi cominciamo a parlare di cose da fare”, spiega davanti ai giornalisti convocati nella sala Postergali del Senato il viceministro dell’Interno che ha raccolto il testimone di Luigi Di Maio dopo le sue dimissioni da capo politico neanche dieci giorni fa. Il ministro degli Esteri, che, sicuro della sconfitta, si era battuto affinché M5s non corresse in Emilia Romagna, oggi tace. Le uniche parole le dedica al Giorno della memoria dopo aver partecipato alle celebrazioni al Quirinale.
La linea la dà Crimi ed è di chiusura al presidente del Consiglio e al segretario del Pd: “Non è campo o fronte la parola su cui dobbiamo concentrarci, sviliremmo la natura di M5s. Quando siamo nati, siamo nati con 5 stelle che non erano sinistra, destra, sopra, sotto erano acqua pubblica, ambiente, trasporti, mobilità, innovazione. Dobbiamo lavorare sui temi e non su una collocazione”, ha insistito. “Immaginare che il fronte debba essere per sconfiggere qualcuno è un passaggio forte, vuole dire che non abbiamo a cuore l’interesse dei cittadini. Se io dico così, il cittadino si chiede ‘ma a me ci hai pensato o stai lavorando solo per sconfiggere?’. Al cittadino non frega nulla. Gli intressa se aumenti il lavoro, se abbassi le tasse”. Sulla stessa linea Ignazio Corrao, europarlamentare e facilitatore M5s: “La parola d’ordine che stanno lanciando a reti unificate è il ritorno al bipolarismo. Anzi, molti vorrebbero fare intendere che il M5s dovrebbe diventare una appendice del centrosinistra. Per me possono stare freschi!”. Tra quei molti però non ci sono soltanto il premier che addirittura oggi, parlando di un fronte alternativo a Salvini, si definisce un “costruttore”, ma anche esponenti pentastellati al governo.
Federico D’Incà non ne fa mistero, mesi fa in un’assemblea in Veneto aveva detto che bisognava allearsi alle elezioni regionali pena la sconfitta. E oggi i risultati dell’Emilia Romagna e della Calabria gli danno ragione: il candidato Sergio Benini si ferma al 3,5%, prende meno voti della lista che comunque raccoglie un misero 4,7% ovvero 102.595, un’infinità in meno di quel 27,54%, cioè 698.204 voti, ottenuto in Emilia Romagna alle elezioni politiche 2018. Ma poco pure rispetto al 13,3% (167.022 voti) delle Regionali 2014. Voti persi quelli pentastellati che in Emilia Romagna, secondo l’analisi dell’Istituto Cattaneo, sono andati a Stefano Bonaccini, contribuendo alla sua riconferma. Un’area progressista di fatto che però Crimi sminuisce derubricandola a caso isolato, relativo a una competizione elettorale molto bipolarizzata dalla discesa in campo di Salvini. Tra i favorevoli a un’alleanza strutturale parla apertamente Luigi Gallo, deputato M5s presidente della commissione Cultura, considerato molto vicino al presidente Roberto Fico che pure viene considerato tra i fautori di una scelta di campo: “Dopo dieci anni – rileva Gallo – sappiamo con certezza di non poter cambiare le regioni da soli”. Invece strenuo difensore della terza via resta la viceministra all’economia Laura Castelli: “Il Movimento 5 Stelle esiste proprio per questo. Da sempre. Vorrei ricordare che ‘la terza via’ ha permesso a questo Paese di trovare stabilità laddove una legge elettorale non garantiva la governabilità. ‘La terza via’ è quella che ha dimostrato di poter andare oltre le ideologie e realizzare cose che questo Paese chiedeva da 20 anni. La terza via è quella che si prende ogni giorno la responsabilità di andare oltre il consenso pur di lottare contro potentati e grandi lobby. Siamo noi. Quelli che da 10 anni percorrono una strada e che ora sono pronti per tracciarne una nuova, senza dimenticare che l`impossibile non esiste”.
Chi la spunterà? L’appuntamento è agli Stati generali a marzo dove – su questo tutti sono d’accordo – M5s dovrà rilanciarsi, rinnovarsi, “evolversi per non estinguersi”, per usare le parole del viceministro Stefano Buffagni che su facebook si lascia andare a una lunga ammissione della sconfitta: “Stiamo sbagliando perché ci siamo chiusi nei palazzi, perché quelle poltrone sono un male da cui dobbiamo avere sempre la forza di staccarci, metterci in discussione. Si torna nelle strade e nelle piazze sin da ora, senza paura e con la voglia di cambiare in meglio il nostro Paese”. È simile l’analisi di un altro componente del governo, il sottosegretario Giancarlo Cancelleri: “Ieri M5s ha fallito, ha perso il mordente sul territorio e con grande sincerità adesso è il momento di analizzare ogni errore. Il risultato di ieri certifica la necessità di una riorganizzazione interna e il processo dei facilitatori già avviato da Luigi Di Maio si rivela quanto mai più urgente. Questo dato calante sono convinto possa essere percepito come grande stimolo per gli Stati Generali già in programma. Questo fallimento deve essere adesso una grande opportunità per determinarsi a correggere e fare meglio. Ciò che conta di più adesso non è chi ma cosa e come. Siamo il Movimento che ha cambiato per sempre il volto della politica italiana”. Domani intanto verrà nominato il nuovo capodelegazione M5s nel governo Conte II. Con ogni probabilità sarà Stefano Patuanelli. Uno di quei ministri considerato vicino a Conte e alla sua idea di lavorare per un’alternativa alla destra di Salvini.