Draghi per ora non vede novità. M5S alla resa dei conti

Si intensificano gli appelli rivolti al premier affinché resti: la lista dei sindaci ha superato le mille adesioni, la petizione di IV ha raggiunto le 80mila firme

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Si intensificano gli appelli rivolti al premier Mario Draghi a restare a palazzo Chigi per fronteggiare le emergenze che il Paese sta attraversando e portare avanti l’agenda del Pnrr e delle riforme. La lista dei sindaci che lo sollecitano a rimanere al suo posto ha superato le mille adesioni, Matteo Renzi dice che la sua petizione ha raggiunto le 80mila firme. La situazione è in continua evoluzione e mancano ancora due giorni prima delle comunicazioni di Draghi alle Camere dopo che il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha rifiutato le sue dimissioni, ma la crisi politica per ora non sembra trovare uno sbocco che possa portare indietro gli orologi, a prima dello strappo in Senato quando i Cinque Stelle hanno deciso di non votare ‘sì’ alla fiducia sul dl Aiuti. Seppure gli appelli vengono valutati come “importanti ed espressione genuina del sentimento della società civile”, chi osserva da Palazzo Chigi fa notare come non ci siano ancora “cambiamenti sostanziali rispetto a giovedì scorso” quando la situazione è precipitata, e questo “tenendo in considerazione i continui distinguo espressi dalle forze politiche”. 

Le parole del premier nel Consiglio di ministri in cui ha annunciato la sua scelta di dimettersi, hanno evidenziato la “questione politica” alla base della sua decisione: “la maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell`azione di governo. Ho sempre detto – ha proseguito – che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più”. Il martedì (precedente al mancato sostegno sulla fiducia in Senato da parte del Movimento), il premier aveva anche detto che “non c’è un governo senza M5s”. Ma i distinguo, gli irrigidimenti e le posizioni che stanno assumendo i partiti di fatto sembrano complicare ulteriormente la situazione. Prosegue il caos M5s in un conclave che va avanti senza soluzione di continuità tra la linea del presidente Giuseppe Conte espressa sino a ieri (“impegni sui nostri 9 punti o andate avanti senza di noi”) e la pattuglia, minoritaria, dei cosiddetti ‘governisti’ che insistono per aprire uno spiraglio su un eventuale nuovo voto di fiducia.

Ieri il ministro Federico D’Incà ha chiesto all’assemblea 5 stelle “una tregua” per non mettere a rischio le riforme necessarie per il Pnrr. La riunione però è stata sospesa, prima spostata alle 18.30, poi alle 20 e infine rinviata a oggi. “E’ un modo per provare a disarticolare il dissenso”, lamenta uno dei parlamentari critici con Conte. Pochi credono che l’ex premier sceglierà di restare nel governo, “lui andrà all’opposizione – prevede il parlamentare 5 stelle – e tutto dipenderà da quanti di noi sceglieranno di continuare a sostenere” l’esecutivo. Un dato fondamentale, per almeno due ragioni: innanzitutto, perché per tentare di convincere Draghi ad andare avanti è necessario che dal Movimento esca un’altra nutrita pattuglia di parlamentari, cosa che permetterebbe di dire che la larga maggioranza c’è ancora e che, semmai, è il M5s che non c’è più, mantra che Luigi Di Maio ripete continuamente.

D’altro canto, il centrodestra di governo alza il tiro: con una nota congiunta Di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini i quali tornano a ribadire che non è più possibile ipotizzare di governare con i pentastellati. I due accusano Conte di affidarsi a “ultimatum e minacce” confermando “la rottura di quel ‘patto di fiducia’ richiamato giovedì dal Presidente Mario Draghi e alla base delle sue dimissioni”. Si dicono disponibili “con senso di responsabilità” ad “attendere l`evoluzione della situazione politica” ma aggiungono di essere “pronti comunque a sottoporsi anche a brevissima scadenza al giudizio dei cittadini”. Non a caso il viceministro delle Infrastrutture Alessandro Morelli e il sottosegretario al Mef Federico Freni, esponenti della Lega, tengono a sottolineare che in “una fase così delicata, è necessario confrontarsi senza inquinare il dibattito” e, dunque, puntualizzano che “anche in caso di elezioni anticipate non sono a rischio né l`attuazione del Pnrr, né le Olimpiadi, né tantomeno i fondi contro il caro energia ed il caro carburanti”.

In casa Pd si continua a lavorare per provare a tenere Conte a bordo, Enrico Letta non vuole lasciare nulla di intentato, ma sono in molti – tra i democratici – a considerare assai difficile un ripensamento del leader 5 stelle. I continui rilanci non fanno ben sperare, anche se c’è chi – come Andrea Orlando – continua a dire che la soluzione migliore sarebbe “ricomporre l’attuale maggioranza”. Di fatto, nei gruppi parlamentari Pd si fanno i conti, per cercare appunto di capire quanti possono essere i 5 stelle disposti a sostenere ancora il governo. Al momento, da fonti M5s, si parla di 20-25 alla Camera, che però “potrebbero aumentare”. Al Pd arrivano ad ipotizzare una trentina di deputati e qualche senatore. Si vedrà, se basteranno a convincere il premier.