Curiosità e coincidenze, così è venuto a galla lo scandalo Volkswagen
MADE IN GERMANIA La vicenda delle emissioni “mascherate” ricostruita dal New York Times. Tutto iniziò 2 anni fa VIDEO
Curiosità (dei ricercatori) e coincidenze: è stato questo mix, soprattutto, a scoperchiare la pentola della Vokswagen. La casa tedesca ci ha impiegato oltre un anno per ammettere di fronte alle autorità americane che il suo è stato un tentativo deliberato di raggirare le leggi sulle emissioni, e non una questione di problemi tecnici. Ma Volkswagen l’aveva quasi scampata. Se non fosse stato, appunto, per una serie di pure coincidenze e per la curiosità di vari ricercatori specializzati nelle quattro ruote, il gruppo tedesco forse non sarebbe mai stato scoperto a barare sui livelli di particelle inquinanti prodotte da milioni dei suoi motori diesel. E’ il New York Times a ricostruire i fatti. Tutto iniziò 2 anni fa. Allora l’International Council on Clean Transportation (Icct) – una non-profit la cui missione è “migliorare le performance ambientali e l’efficienza energetica” nei trasporti “per il bene della salute pubblica e per mitigare il cambiamento climatico” – stava conducendo test in Europa per capire la reale performance di automobili dotate di motori diesel “puliti”. Non particolarmente colpiti dai risultati, gli esperti del gruppo (tra le cui fila ci sono molti ex funzionari dell’Agenzia per la protezione ambientale americana o Epa, quella che venerdì scorso ha formalmente accusato Volkswagen di avere barato) decisero di condurre la stessa analisi su vetture negli Stati Uniti.
Consapevoli del fatto che in Usa le norme sulle emissioni erano più stringenti e quasi certi che l’esito del test avrebbe fatto sfigurare le auto europee, i ricercatori si misero al lavoro senza immaginare che invece sarebbero inciampati in una delle maggiori truffe nel settore automobilistico della storia recente. In cerca di aiuto, l’Icct pubblicò un annuncio per la ricerca di un partner con cui testare vetture diesel. La West Virginia University decise di partecipare al bando. “Testare veicoli leggeri a diesel in condizioni reali sembrava molto interessante”, ha raccontato al NYT Arvind Thiruvengadam, professore all’ateneo. “Ci siamo guardati e ci siamo detti ‘proviamoci'”. Alla fine quell’università fu stata selezionata, senza immaginare che avrebbe trovato un gruppo auto intento a barare. Per di più Volkswagen non era stata presa di mira. Per caso due dei tre veicoli a motore diesel acquistati per il test erano del gruppo tedesco. Ma ci volle poco per fare sorgere dubbi tra gli esperti. “Se sei imbottigliato nel traffico di Los Angeles per tre ore, sappiamo che la vettura non si trova nella condizione migliore per dare buoni risultati sulle emissioni”, ha spiegato al Nyt Thiruvengadam. “Ma se si va a 70 miglia all’ora, tutto dovrebbe funzionare perfettamente. Le emissioni dovrebbero calare. Ma quelle di Volkswagen non scesero”. E’ vero che le condizioni reali di guida sono condizionate dalla velocità, dalla temperatura, dalla topografia e da come il conducente preme sui freni. Ma la performance dei veicoli del gruppo tedesco sembrava piuttosto strana. A confermarlo fu poi il California Air Resources Board (Carb), l’agenzia dello Stato della California preposta a fissare standard sulle emissioni. Essendo venuto a conoscenza dei test in corso dell’Icct, il Carb decise di prenderne parte. E così i regolatori misero alla prova gli stessi veicoli analizzati dal gruppo di esperti aiutato dalla West Virginia University.
https://youtu.be/tFNziPNEQN4
I test si svolsero prima nei laboratori sofisticati del Carb, e l’esito sui due veicoli Volkswagen fu perfetto (il merito, con il senno di poi, fu il ricorso al controverso software chiamato “defeat device”). Ma quando quei due veicoli furono messi sulle strade del Golden State, le emissioni di diossido di azoto risultarono tra le 30 e le 40 volte più alte dei limiti di legge. Di conseguenza il Carb e l’Epa iniziarono le loro indagini su Volkswagen nel maggio 2014, come emerso dai documenti diffusi venerdì scorso. Il gruppo auto disse di avere scoperto la ragione di tali livelli alti di emissioni e propose un rimedio software. Ciò risultò lo scorso dicembre in un richiamo di quasi 500.000 vetture in Usa. Ma il Carb continuò la sua inchiesta, non convinto che la performance su strada delle auto del gruppo sarebbe migliorata. Aveva ragione. Gli standard sulle emissioni continuavano ad essere violati, motivo per cui il Carb scelse di condividere quanto scoperto con l’Epa l’8 luglio. A quel punto l’Agenzia per la protezione ambientale minacciò Volkswagen: o risolveva la questione o le autorità non avrebbero dato il via libera ai modelli 2016 dell’omonimo marchio e di quello Audi (una procedura generalmente di routine). Solo a quel punto arrivò l’ammissione del secondo maggiore gruppo di auto al mondo e con essa una crisi reputazionale smisurata.