La seconda economia del mondo ha lanciato oggi un messaggio molto preciso alle banche centrali del mondo: non stringete i cordoni della politica monetaria in un momento in cui la pandemia Covid-19 continua a rallentare la crescita. L’ha fatto prima di tutto per bocca del suo presidente, Xi Jinping, che è stato molto esplicito nel suo discorso virtuale al World Economic Forum. “La pandemia si sta prolungando e si riprensenta più volte con varianti che si diffondono a maggiore velocità che in precedenza”, ha notato il leader cinese. “Se le grandi economie – ha proseguito – tirano il loro freno o fanno inversione a U delle loro politiche monetarie, ci saranno gravi conseguenze negative. Metterebbero sotto stress l’economia globale e la stabilità finanziaria e i paesi in via di sviluppo ne pagherebbero il costo”.
Le osservazioni di Xi vengono nello stesso giorno in cui Pechino ha annunciato il dato di crescita dell’ultimo trimestre 2021, con un 4 per cento che segna un rallentamento ulteriore della sua spinta economica. Per quanto il risultato annuale del +8,1 per cento superi ampiamente il target del 6 per cento fissato dalle autorità – ma considerato dagli osservatori piuttosto conservativo alla luce del forte rallentamento registrato nel 2020 a causa dell’esplosione del Covid proprio in Cina – si tratta di un risultato che preoccupa Pechino. Non a caso la Banca del popolo cinese (PBOC), l’istituto centrale di Pechino, oggi a sorpresa ha ritoccato al ribasso due suoi tassi chiave: il Medium Term Lending Facility (MLF) a un anno e il Reverse Repo a 7 giorni. La PBOC ha annunciato che il taglio – il primo da aprile 2020 – è di 10 punti base e porta i due tassi rispettivamente al 2,85% e al 2,10%.
Il taglio del tasso MLF si è concretizzato in un’iniezione netta di 200 miliardi di yuan (27,5 miliardi di euro) nel sistema bancario nel giorno in cui arrivavano a maturazione bond MLF per 500 miliardi di yuan (69 miliardi di euro). Quello dei reverse repo con l’immissione di 100 miliardi di yuan (13,8 miliardi di euro). Il messaggio cinese appare chiaro: Pechino punta ancora su una politica monetaria lasca che inietti liquidità nel sistema in modo da fornire propellente alla crescita. Che è poi la politica seguita dai paesi con le economie più grandi in questi due anni di crisi pandemica. Tuttavia il vento sta cambiando. Il combinato disposto di queste politiche, dei colli di bottiglia nelle catene di forniture e della spinta verso l’alto dei prezzi dell’energia ha provocato la crescita dell’inflazione in diversi paesi. Nell’Eurozona, per esempio, per la prima volta nel ventennio di storia dell’area della moneta unica, il tasso d’inflazione ha raggiunto a dicembre il 5 per cento. L’OCSE ha stimato per l’area da lei coperta un’inflazione a novembre del 5,8 per cento con gli Stati uniti al 6,2 per cento, il tasso più alto da giugno 1982.
Alcune banche centrali, a partire dalla Bce, resistono alla tentazione di mettere mano ai tassi perché stimano che questa fiammata possa essere momentanea e destinata a rientrare una volta che la situazione si sarà stabilizzata. Altre invece hanno precorso i tempi: la Banca di Corea (BOK) – istituto centrale della Corea del Sud – ha iniziato ad agosto ad aumentare il suo tasso di riferito di un quarto di punto e la scorsa settimana ha fatto il terzo ritocco portando il tasso all’1,25 per cento. Non solo: il governatore Lee Ju-yeol ha già fatto capire di vedere la possibilità di altri due rialzi quest’anno. Gli occhi in realtà sono tutti puntati sulla Federal Reserve Usa. Giorni fa, parlando con il Financial Times, il governatore della Fed di Philadelphia, Patrick Harker, ha stimato che un primo rialzo dei tassi della Fed potrebbe avvenire a marzo e non ha escluso la possibilità che vi possano essere tre ritocchi verso l’alto. “Se necessario – ha aggiunto – sarei aperto a fare di più”.
L’ipotesi che l’economia mondiale possa entrare in una fase di liquidità più problematica è vista a Pechino come la peste. Il dato di crescita del Pil annunciato oggi per il quarto trimestre 2021 è il peggiore dal secondo trimestre 2020, quando l’economia di Pechino scontava il momento più nero della crisi pandemica. Quindi, sebbene il risultato annuale sia stato positivo grazie soprattutto all’andamento della produzione industriale, la possibilità di una stretta sulla politica monetaria a livello globale pone un serio rischio. “Le grandi economie dovrebbero vedere il mondo come una comunità, pensare in una maniera più sistematica, aumentare la condivisione trasparente delle inforazioni, coordinare gli obiettivi, l’intensità e il passo delle politiche fiscali e monetarie”, ha chiarito Xi parlando in maniera virtuale all’istituzione di Davos. “Solo così – ha proseguito – eviteremo un nuovo crollo dell’economia mondiale”.