“Il 2,3% non è l’1,8%”. Per ora, è l’unica reazione chiara che si sente ripetere a Bruxelles, rigorosamente “off the record” e non attribuibile, relativa al rapporto deficit-Pil che l’Italia ha previsto nel suo piano di bilancio per il 2017 approvato sabato, e che doveva essere inviato alla Commissione europea entro ieri a mezzanotte. Non è ancora un avvertimento, solo una constatazione. Una reazione simile (“Non è la cifra che abbiamo in mente”) l’aveva già avuta la settimana scorsa il commissario agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, quando sul deficit previsto girava, non ancora ufficiale, una percentuale di poco superiore, il 2,4%. Che succederà ora? Ricevuto il documento italiano, la Commissione dovrà pronunciarsi entro il primo novembre (a 15 giorni esatti dal termine ufficiale per la notifica, che era il 15 ottobre ed è stato prorogato di due giorni per tenere conto del week-end). Bruxelles, con tutta probabilità, chiederà ulteriori spiegazioni, oltre a quelle già fornite dal governo italiano per invocare nuovamente l’applicazione della “flessibilità” prevista dal gennaio 2015 per l’applicazione del Patto di Stabilità. Poi, il 9 novembre, la Commissione pubblicherà le sue attesissime previsioni economiche di primavera. Non ancora il verdetto dell’Esecutivo Ue sulla manovra italiana, ma comunque un’occasione per fare delle puntualizzazioni o qualche richiamo, per lanciare qualche avvertimento.
Oppure per mostrare più disponibilità, prendendo in conto delle circostanze attenuanti, delle tendenze che giustifichino una minore rigidità sui famosi “zero virgola”, favorito obiettivo polemico del premier Matteo Renzi contro l’atteggiamento burocratico e ottuso e le politiche “austeritarie” che hanno caratterizzato per tanti anni la Commissione, prima della svolta impressa più recentemente da Jean-Claude Juncker e da Moscovici. Il verdetto finale per l’Italia (promossa, bocciata o “rimandata”), come per gli altri Stati membri che non abbiano avuto richiesta di ulteriori spiegazioni, è previsto al più tardi per il 30 novembre. Teoricamente, non dovrebbe avere alcuna influenza, né sulla data né sul verdetto della Commissione, il fatto che quattro giorni dopo, il 4 dicembre, ci sarà in Italia il referendum costituzionale. Nei fatti, invece, non è affatto da escludere un condizionamento anche pesante delle circostanze “politiche” sul giudizio tecnico di Bruxelles relativo ai conti pubblici italiani. Intanto, è già successo e sta continuando a succedere, ad esempio con la Spagna, dove le condizioni di instabilità politica (l’impossibilità, finora, di formare un governo dopo due elezioni successive) hanno portato la Commissione ad azzerare o rinviare le decisioni sulle sanzioni per il non rispetto degli obiettivi di bilancio.
Ma, soprattutto, a Bruxelles è sempre più forte il timore che una eventuale vittoria del “no” al referendum possa scalzare Renzi da palazzo Chigi e aprire le porte a una nuova stagione di grande incertezza e instabilità politica, con il M5s (che continua a essere visto con estrema diffidenza, come uno dei tanti movimenti populistici anti-europeisti che in Europa hanno il vento in poppa) come protagonista. Alla Commissione lo vedrebbero come un pessimo segnale, prima delle elezioni del 2017 in Olanda, Francia e Germania, dove proprio i movimenti populisti anti-Ue rischiano di raccogliere clamorose vittorie. La Commissione non può dirlo ufficialmente, ma è pronta ad aiutare Renzi, o quantomeno a non fornire ulteriori armi ai suoi nemici con censure all’operato del suo governo, e farà di tutto per evitare che questo succeda. Ma deve continuare a rendere conto delle proprie decisioni anche ai “falchi” dell’austerità, e e soprattutto ai tedeschi. E qualunque sia il verdetto sui conti pubblici italiani, il giorno dopo il referendum, il 5 dicembre, l’Esecutivo Ue dovrà motivarlo all’Eurogruppo, di fronte ai ministri delle Finanze dei paesi dell’euro.