Il cardinale Angelo Becciu nelle sue azioni alla Segreteria di Stato “ha abusato dei fondi del Santo Padre” ed ha sempre mantenuto un comportamento che di fatto ha boicottato il Processo in corso in Vaticano. Lo ha sostenuto il Promotore di giustizia, Alessandro Diddi nella sua pate finale della requisitoria in Aula, durante la 66.ma udienza del processo che si sta tenendo sui presunti illeciti dei fondi della Segreteria di Stato, come l’acquisto del Palazzo di Londra di Sloane Avenue. Un duro affondo contro il porporato, quello di Diddi che al termine della sua requisitoria ha detto di “sentirsi amareggiato del livello nel quale il cardinale ha abbassato questo processo. Domani – ha poi aggiunto – faremo le nostre richieste”. In sostanza, il Promotore di giustizia ha sostenuto che Becciu fosse sempre al corrente di quanto accadeva e delle scelte fatte in quegli anni, compresa la distrazione dei fondi. Basti pensare che a Becciu, in qualità di Sostituto alla Segreteria di Stato, toccava porre il visto finale alle operazioni e così avvenne, ad esempio, nel caso dell’acquisto del Palazzo londinese. “Tutto è stato vistato dall’allora Sostituto – ha detto Diddi – quindi era informato di tutto e non è vero affatto, come poi ha sostenuto nel dibattimento, che lui si occupava solo delle cose più importanti”.
Il caso londinese
Secondo Diddi, il cardinale si è mosso invece sempre, in questi anni, “in maniera scomposta, reagendo in tal modo come è avvenuto anche ora…”. Quindi, una chiosa sui rapporti col Papa. “Non basta dire che si considera come un fratello, ma occorre muoversi in sintonia con lui”, aggiungendo che già alla prima perquisizione avvenuta negli uffici della Segreteria di Stato, Becciu decise di impostare il suo operato “usando la leva mediatica per delegittimare il lavoro del Promotore di giustizia. I magistrati – ha detto Diddi – sono stati da sempre il suo obiettivo come disse anche a Crasso (altro imputato) quando gli dichiarò che ‘era arrivato il tempo di delegittimarli'”, fino ad usare verso di loro espressioni come “maiali e porci”. Anche gli articoli di alcuni giornalisti compiacenti, secondo il Promotore di giustizia, sono serviti a questo scopo. Anche di fronte al caso londinese il cardinale non avrebbe mai dimostrato “un attimo di resipiscenza”. Sul caso della cooperativa Spes di Ozieri, il comportamento di Becciu, sempre secondo Diddi, non fu meno spregiudicato. In questo senso ha ricordato le quasi cento bolle di trasporto del pane alla Caritas della diocesi sarda e destinate a opere di carità, poi risultate, secondo le indagini della stessa Guardia di Finanza, come false.
Il giallo Cecilia Marogna
Dalla indagine della GdF poi emergerebbe, sempre secondo l’accusa, che il cardinale “fosse il veicolo per queste truffe”. E la strategia usata, anche in questo caso, sarebbe stato quello di “demolire chiunque osasse metterglisi contro. Lui ha denunciato tutti – ha proseguito Diddi – si va dal settimanale L’Espresso a mons. Perlasca, per finire al cardinale Pell che non c’entrava nulla”. Insomma la sua strategia, ha insistito Diddi “è risultata sempre quella di non interagire con i magistrati ma di interferire”. Altro punto toccato dalla requisitoria, il caso legato a Cecilia Marogna che si presentò in Vaticano “autodefinendosi una analista geopolitica. Ma sono curioso di ritrovare un solo scritto o sua analisi in questo senso, non esiste”. Anche in questo caso fu il card. Becciu a presentarla così, “costruendo la sua figura. Sui fondi che la Marogna gestì per la liberazione della suora colombiana sequestrata in Mali e i 575mila euro ricevuti dalla Segreteria di Stato, la ricostruzione di Diddi non è stata meno dura. Questi soldi, ha ricordato, andarono in regali, abbigliamento, hotel di lusso o resort nel Bornio o Corfù. “Così spendeva i soldi della Segreteria di Stato che erano desitnati a finalità umanitarie. – ha affermato Diddi – Invece di dare dei porci ai magistrati forse il carinale avrebbe dovuto dare spiegazioni di quei soldi e dei bonifici a lei fatti”, mentre furono spiegati come uscite per il presunto pagamento di un intermediario o per pagare il riscatto per la liberazione della religiosa.
La cooperativa Spesa
“Anche dopo l’arresto della Marogna – ha poi proseguito Diddi – Becciu non ha mai messo da parte il suo orgoglio” ma anzi avrebbe riallacciato i rapporti con lei nel 2022. “Ma il capolavoro del cardinale – ha chiosato ancora il Promotore di giustizia – è stato nell’impianto probatorio cercato a pochi giorni dall’inizio del processo e dall’uscita del Papa dall’ospedale, quando si rivolse a lui con una lettera per garantirsi una autorizzazione che poi non è arrivata”. Una mossa che, secondo Diddi, è arrivata fino al punto di un “tentativo di truffa verso il Santo Padre per farsi autorizzare nuovamente”. Infine Diddi è tornato sulla questione della cooperativa Spes dichiarando che dalle indagini è emerso come il fratello Antonino fosse il vero proprietario della cooperativa e come “non era la Spes a essere il braccio operativo della Diocesi ma il contrario”. Una realtà, questa, fatta anche di “grosse pressioni” che la famiglia Becciu ed il porporato in prima persona operarono anche sul vescovo di allora, mons. Pintor spinto fino alle dimissioni dal suo incarico, e ad allontanare dalla diocesi chiunque non condivideva il suo disegno.