L’Italia invierà “nei prossimi mesi” una compagnia di “140 uomini in Lettonia” per partecipare alla “forza Nato a guida canadese, lì dispiegata”. Si tratta di una decisione che “non rientra in una politica di aggressione verso la Russia”, ma con la quale il governo italiano e gli Alleati intendono “rassicurare” i partner europei sulle capacità di difesa dei confini orientali del vecchio continente. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (foto) conferma l’impegno del nostro Paese, dopo il suo incontro di Roma con il leader della Nato, Jens Stoltenberg. Quest’ultimo, in un’intervista alla Stampa ne aveva anticipato stamane i contenuti. Ma nessuna sorpresa: è una scelta che l’Italia ha fatto e annunciato già al vertice di Varsavia, ha precisato il titolare della Farnesina. L’invio dei militari, è il ragionamento del ministro, “non influirà minimamente con la linea di dialogo che l’Italia ha sempre proposto e condiviso con la Nato” e “che deve andare in parallelo con le rassicurazioni agli alleati che si sentono a rischio”. Eppure l’irritazione di Mosca, questa mattina, non si è fatta attendere molto. Commentando le dichiarazioni del segretario generale della Nato, un portavoce del ministero degli Esteri russo ha definito “distruttiva” la politica degli Alleati, impegnati nella “costruzione di nuove linee di divisione in Europa invece che di profonde e solide relazioni di buon vicinato”.
Insomma, la formula “Difesa e dialogo” propugnata da Stoltenberg non convince Mosca fino in fondo. D’altra parte, se non si può nuovamente parlare di Guerra fredda, di certo “non c’è neppure il partenariato” a cui la Nato sta lavorando da anni con la Russia. Quello in atto, ha ammesso lo stesso segretario generale, è “un sistema di relazioni con Mosca mai visto sinora”. “Serve un’Alleanza forte non per provocare una guerra, ma per prevenirla”, ha avvertito, e gli enormi investimenti fatti dalla Federazione russa sulla Difesa – è il suo pensiero – certamente non aiutano a rasserenare gli animi degli Alleati. Siamo “profondamente preoccupati” dalla Russia, che è “sempre più assertiva e imprevedibile” ed ha schierato sistemi missilistici vicino a Paesi alleati, “parte di uno schema di attività militare su larga scala”, ha confermato Stoltenberg. “Noi continueremo a perseguire politiche di difesa e dialogo politico. La missione della Nato è di mantenere sicuri gli alleati ma dobbiamo evitare incidenti e calcoli errati che possono far sfuggire la situazione di mano”. Il rischio c’è e trova terreno fertile in Siria. Qui la Nato “non ha alcun piano su una presenza militare”, ma intende fare “tutto il possibile” per una “soluzione politica e diplomatica della crisi”.
Mosca “continua a bombardare Aleppo e a sostenere il regime di Damasco” nonostante le terribili perdite di vite umane e le forti obiezioni della comunità internazionale, ha ricordato Stoltenberg. E questa mattina Vladimir Putin ha anche ratificato la legge con cui il Parlamento russo ha approvato l’accordo siglato nel 2015 con Damasco sulla presenza “a tempo indeterminato” delle forze russe nella base militare Hmeimim, in Siria occidentale (attualmente sono circa 4.000 uomini). “Dobbiamo trovare il modo per superare lo stallo in Siria, il primo passo è tornare al tavolo dei negoziati”, ha detto il leader della Nato. Per questo gli occhi di tutti sono ora rivolti verso Losanna e Londra. Qui, tra sabato e domenica, la diplomazia internazionale compirà un tentativo estremo di fermare il massacro di Aleppo, rilanciare il processo negoziale, ridare speranza ai siriani. A Losanna, il segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov si riuniranno assieme ai loro omologhi della Turchia e del Golfo, certamente l’Arabia saudita, probabilmente il Qatar. Né Mosca né Washington hanno invece confermato la presenza dell’Iran, attore fondamentale della crisi siriana e alleato del presidente siriano Bashar al Assad. Domenica a Londra, invece, Kerry ritroverà i suoi “partner internazionali”, ovvero Regno unito, Germania e Francia. Stoltenberg ha espresso l’auspicio che “i colloqui possano trovare un modo per mettere fine alla crisi, con la cessazione delle violenze e l’accesso agli aiuti umanitari”.