“Il golpe non vuole solo destituire un Presidente eletto dal voto di milioni di voti, ma impedire l’applicazione de programma politico approvato da milioni di brasiliani: il rischio è quello di avere ora un governo illegittimo, che nasce da un golpe, da un impeachment fraudolento, da una specie di elezione indiretto, che potrà cedere alla tentazione di reprimere chi gli è contrario, che sarà esso stesso una causa della crisi in cui versa il Paese”, ha avvertito il presidente, che ha concluso: “Ai brasiliani faccio un appello: mantenetevi mobilitati, uniti e in pace: la lotta per la democrazia non ha una scadenza, la lotta contro il golpe è lunga, è una battaglia che può essere vinta e la vinceremo”. Al di là dell’ottimismo di rito, l’ultima tappa del calvario politico di Dilma arriverà in ottobre, quando sarà un nuovo voto senatoriale, questa volta con una maggioranza qualificata di due terzi, a decidere la sua effettiva destituzione: da questo punto di vista, è importante notare come i senatori che oggi hanno votato a favore dell’impeachment sono stati 55, uno in più del limite richiesto per la condanna definitiva. Uscita – almeno temporaneamente – di scena Dilma, l’attenzione passa a concentrarsi sul suo sostituto, l’ex alleato e oggi principale nemico politico Michel Temer: in quanto vicepresidente, sarà lui ad assumere i tutti i poteri ed ha già incontrato tutti i probabili Ministri del suo futuro esecutivo per preparare le linee guida economiche, all’insegna di una prevedibile austerità; in serata terrà il suo primo discorso al Paese. Temer tuttavia deve affrontare due ostacoli non da poco per poter realizzare le sue ambizioni presidenziali: primo, la crescente impopolarità – una maggioranza dei brasiliani sarebbe favorevole alle sue dimissioni, in concomitanza con quelle di Dilma, come soluzione alla crisi – e secondo, il possibile coinvolgimento nello scandalo Petrobras.
La magistratura ha infatti aperto un’inchiesta nei confronti di due fra i principali esponenti dell’opposizione, accusati di corruzione: il senatore Aecio Neves e l’ex presidente della Camera Eduardo Cunha, considerato da Dilma uno dei principali promotori dell’impeachment; Temer al momento ne è rimasto fuori ma è stato tirato in ballo da uno dei super-testimoni dell’inchiesta. L’impeachment di Dilma ha un unico precedente nella storia della democrazia brasiliana: nel 1992 toccò a Fernando Collor de Mello – oggi senatore e che ha votato a favore della sospensione del Presidente – il quale diede le dimissioni il giorno prima dell’inizio del processo. Tutto fa pensare che Dilma – che ha ricordato le sofferenze patite con l’arresto e la tortura sotto la dittatura come esempi di sfide superate e vinte – non si arrenderà a quella che considera una grande ingiustizia: per il Brasile si apre quindi un periodo di grande incertezza e divisioni, in cui a una crisi politica e istituzionale rischia di sostituirsene una ancora più grave. Dilma ha invitato i sostenitori del Partito dei Lavoratori (Pt) e “chiunque si voglia opporre al golpe” a manifestare pacificamente e a rimanere mobilitati contro un governo che non ha ricevuto la legittimazione degli elettori, guidato da un vicepresidente agli occhi di molti brasiliani ormai screditato e in un clima di crisi economica che intende affrontare con un programma di tagli alle pese sociali: non certo la ricetta migliore per riportare il Paese alla pace istituzionale.