I dirigenti pubblici da giorni in protesta contro le norme della legge Madia che modifica e, a loro avviso, peggiora il loro status e lede il principio del diritto all’incarico ottengono un primo risultato. Ieri sono stati ascoltati dalla Commissione affari costituzionali che li ha invitati per conoscere le motivazioni del loro dissenso. Un’esposizione che ha convinto la relatrice al decreto, la piddina Daniela Gasparini, a chiedere al governo una serie di correzioni del testo proposto dalla ministra. Rispetto al pericolo paventato dalle organizzazioni dei dirigenti, che parlano di “precarizzazione della categoria”, la Gasparini ha detto “di condividere la necessità di evitare un’eccessiva instabilità del ruolo”. Così la modifica andrebbe nel senso di dare maggiore certezza agli incarichi, limitando la decadenza alle situazioni di “demerito”. Non solo. Ci sarebbe la disponibilità a chiedere correzioni anche su altri punti della riforma, come la composizione delle commissioni sulla dirigenza, prevedendo oltre a delle figure di garanzia un pool di esperti selezionati, in grado di portare avanti le istruttorie sui curricula dei dirigenti. Ora i deputati, come i senatori, dovranno dare un parere sul decreto che poi tornerà nella mani del Governo. Ma è chiaro che le aperture del partito del premier per la riscrittura di alcune parti del provvedimento di fatto depotenziano l’ostinazione della Madia a lasciarlo inalterato. Forse qualche ulteriore passo in avanti si avrà lunedì prossimo quando il comitato dei dirigenti (nato per guidare l’opposizione al decreto) sarà ricevuto alle 17 al ministero della Funzione Pubblica. Intanto ieri, nelle due ore a disposizione, oltre ai rappresentanti del comitato sono stati ascoltati dai deputati quelli delle associazioni dei manager del ministero di Grazia e Giustizia, del Tesoro e degli enti locali. In tutto otto interventi di circa 20 minuti da ciascuno dai quali è emersa una linea comune. E cioè forti critiche verso il provvedimento sottolineando come l’approccio verticistico e unilaterale dell’articolato sia gravemente lesivo di diritti collettivi e soggettivi. Per i dirigenti il decreto comporta una destrutturazione, la precarizzazione e l’asservimento di tutta la dirigenza pubblica al governante di turno.
All’attenzione dei deputati anche la mancanza dei pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza Stato Regioni che dovevano corredare il testo di legge. Una questione procedurale ma non indifferente in sede istituzionale. Secondo i dirigenti poi il governo avrebbe sprecato un’occasione per cercare di individuare e concertare l’evoluzione della dirigenza verso un modello moderno e ispirato all’efficiente burocrazia francese. Invece si è di fatto cercato di imporre la vecchia legge Bassanini e lo spoil system già sperimentato nel passato e ritirato per evidente fallimento. Una riforma farraginosa dunque che arriva in una fase nella quale il presidente del Consiglio ha programmato gli investimenti con le risorse del fondo sviluppo e coesione pari a 38 miliardi. Ora che di fatto si entra nell’ultimo anno di governo, e che il supporto dei dirigenti pubblici è vitale per avviare gli interventi, si crea uno sconvolgimento che mette a rischio la crescita economica generata dall’impegno pubblico. Insomma manca coerenza del sistema. L’esecutivo da una parte vuole programmare spesa e dall’altro presenta un codice degli appalti con criticità evidenti, riforma le partecipate introducendo norme restrittive per le assunzioni e precarizza la dirigenza. Tre atti – hanno spiegato i dirigenti – che introducono vincoli e lacciuoli e limitano la capacità operativa delle strutture pubbliche. La Commissione ora farà un’istruttoria su quanto dichiarato e alcuni dei suoi componenti si sono detti certi di un seguito alle richieste espresse perché sono stati rilevati aspetti del provvedimento che lo rendono poco funzionale e gestibile. Finito l’esame i deputati dovranno esprimere un parere sul rispetto della delega e sulla costituzionalità delle norme. Ovviamente i rappresentanti della dirigenza hanno chiesto di dare un parere negativo o fortemente condizionato alla risoluzione di alcuni nodi esprimendo la massima disponibilità e collaborazione per un miglioramento del testo. In particolare la soluzione suggerita è quella di rinviare questa disciplina all’attuazione dell’articolo 17 della legge Madia che riguarda la delega per il nuovo testo unico del pubblico impiego. Tra le criticità è stato fatto notare infatti che il testo viola il principio della delega soprattutto nella parte che riguarda la commissione degli esperti incaricati di valutare l’assegnazione degli incarichi. La legge prevede che questa sia costituita da componenti scelti con procedure trasparenti sulla base di requisiti di merito e di incompatibilità e di indipedenza da cariche politiche e sindacali. Nel formato previsto, invece, la commissione è determinata per legge ed è composta da persone scelte dalla politica. Un punto questo che sarà oggetto di interlocuzione con la Madia.
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