Dmitri Hvorostovsky, dalla Russia con amore. Una fama brillante costruita tra Europa e America

Dmitri Hvorostovsky è nato a Krasnojarsk, 16 ottobre 1962, quasi 30 anni di carriera, è uno, se non il maggiore, dei baritoni di fama mondiale, nonostante abbia da sempre “sognato” e “idealizzato” l’Italia.

Gli ultimi mesi li ha trascorsi in tour. Un grande tour europeo, tra Germania, Svizzera, Belgio, Russia e Austria a marzo. Poi una pausa a Londra per Traviata alla Royal Opera House, dove vestirà i panni di Giorgio Germont, in Traviata, quindi di nuovo in tour, questa volta diretto in America. In Italia no. Dmitri Hvorostovsky, baritono dalla “voce dorata” – come lo hanno definito i critici oltreoceano –  oggi uno, se non il maggiore, dei baritoni di fama mondiale, nonostante abbia da sempre “sognato” e “idealizzato” l’Italia – sin da quando era bambino, sin da quando ascoltava estasiato le voci dei grandi interpreti italiani della Lirica, sin da quando, studente, muoveva i primi passi di interprete sul palcoscenico della sua Krasnoyarsk, cittadina della Siberia – raramente riesce ad esibirsi nel nostro paese. La scorsa stagione è stata quasi una fortuna poterlo ascoltare a Napoli nel suo amato Rigoletto, al San Carlo, e poi a Roma, nel Ballo in maschera in forma da concerto, diretto da Antonio Pappano.  Due titoli verdiani non a caso. Hvorostovsky, infatti, ha quasi da subito fissato il suo repertorio su Verdi e avrebbe voluto, proprio per questo suo “amore per Verdi” che la sua carriera “si stabilizzasse in Italia”, ma ciò non è avvenuto.  Forse “per una serie di circostanze – ha raccontato il cantante, incontrato a Vienna durante le rappresentazioni dell’ Eugenio Onegin di Tchaikovsky, di cui interpretava il ruolo del titolo, al fianco della soprano Anna Netrebko, e recentemente a Berlino in una delle tappe del tour liederistico in compagnia del pianista Ivari Ilia – legate alla vita, ma anche alla fortuna. Probabilmente – ha continuato – non ho incontrato chi mi avrebbe potuto guidare e aiutare in questo senso”.

Forse uno dei motivi potrebbe essere legato al fatto che la sua voce brunita, pastosa, rotonda, profonda, a volte vellutata – in particolare nell’uso delle mezzevoci – si distacca dall’idea che ultimamente si ha, in particolare in Italia, del baritono verdiano, inteso solitamente più in senso lirico.  “Non penso!”,  dice Hvorostovsky. “Io nasco, e sono tutt’ora – precisa il cantante siberiano – un baritono lirico”. “Inoltre – continua –  il mio modo di cantare include, non solo la tecnica vocale, il timbro della voce, ma la recitazione, la presenza scenica. E’ un qualcosa che fa parte di me, del mio modo di essere, di lavorare, e nessun altro, a parte me, può farlo, non in questo modo”. Tuttavia, ammette, “è sicuramente un problema di gusto. Può piacere o no. Anche se, oggi – aggiunge con una certa tristezza – viviamo in un mondo di profani, di amatori. La maggior parte della gente, non capisce, o non conosce nulla dell’Opera, tanto che neanche lei stessa sa cosa vuole. E noi, non sappiamo cosa vuole. E’ triste, forse, ma è la cruda realtà”. E la sua analisi investe tutta la realtà operistica internazionale. Nessuno escluso. “Io canto quello che sento – aggiunge – quello che provo, ciò che la musica mi comunica. Non analizzo. Non indago. Io sono ciò che canto!”

Ecco perché quindi le sue interpretazioni dei personaggi – Onegin, Il Conte di Luna, Renato, Rigoletto – possiedono quella naturalezza sulla scena che pochi interpreti oggi riescono a dare. Hvorostovsky è di volta in volta ognuno di essi. Caratteristica questa che lo porta ad assumere anche posizioni molto ferme sul modo in cui oggi l’opera lirica viene allestita registicamente. “Le regie – spiega – devono manifestare originalità e talento”. “Scioccare – dice – non è certo il modo per attrarre il pubblico o portare le nuove generazioni a teatro”. “Comunque – aggiunge il baritono siberiano – è positivo quando regista e interprete possono discutere, argomentare, convincere e magari essere convinti dalle idee dell’altro. E’ uno scambio costruttivo, una sfida che ti porta a dare il meglio di ciò che pensi, che provi. Ed è quello che cerco sempre di fare. Anche se a volte è difficile. Perché l’interprete, non è un singolo individuo, fa parte del gruppo, e lavora per la realizzazione, per il buon funzionamento, della messa in scena dello spettacolo”. Retaggio del passato sovietico questo? “Forse”, dice ridendo.

L’opera lirica tuttavia non è il suo solo campo d’azione, come dimostra lo stesso lungo tour di concerti che ha deciso di intraprendere quest’anno. Nella sua carriera, infatti, Hovorostovsky ha sempre cercato di bilanciare diversi generi musicali, affrontando, oltre al repertorio operistico, i recital cameristici e i concerti da crossover. “Il mio segno è la Bilancia – spiega sorridendo – e probabilmente anche per questo ho sempre cercato un equilibrio nella vita e nella carriera”. Ma sotto sotto c’è anche la continua “sfida con me stesso, che mi porta ad affrontare sempre nuove esperienze. Cambiare, è qualcosa di cui ho bisogno”.

Questa continua ricerca di sfide sembra però essersi quietata con il traguardo dei cinquant’anni. “Sono più calmo, sereno. Sento di non avere più bisogno ora di dimostrare qualcosa a qualcuno. Magari, sento ancora la sfida con me stesso, ma non quella con gli altri”. E la continua sfida con se stesso lo porta ad affrontare nuovi ruoli, come Jago, nell’Otello verdiano – debuttato a Vienna lo scorso settembre 2013 – e forse, in un futuro prossimo, “Macbeth”. “Mi trovo a mio agio nei ruoli per baritono dalle tessiture alte, in particolare i ruoli del primo Verdi, come Don Carlo, in Ernani dato al Metropolitan di New York nel 2012. Più canti alto – continua a spiegare Hvorostovsky, divenuto famoso nell’89, dopo la vittoria al Concorso internazionale Best Voice of the world indetto dalla BBC di Londra – più fai bene alla voce. Almeno per me è così. Anche se molti identificano il mio timbro come pastoso, profondo, come detto resto un baritono lirico”. E come baritono lirico, Giorgio Germont, in Traviata, sembra sia il ruolo “che la Royal Opera House riesca ad offrirmi”, dice ridendo. Ma altri sono gli appuntamenti per i prossimi mesi di questo 2014. La serie di concerti “Hvorostovsky and friend”, a Mosca e San Pietroburgo, a metà marzo, serie iniziata nel 2006 con la soprano americana Renèe Fleming; una selezione di arie dall’Otello, in forma da concerto, a giugno a Parigi al fianco del tenore Roberto Alagna; ancora Parigi con Traviata a settembre. E poi i recital, in compagnia di Ivari Ilia, “un pianista ideale che conosce a fondo ciò di cui ha bisogno un cantante”, e concerti. Un tour attraverso l’Europa, la Russia e l’America. E per il 2015?

“Non so – dice ridendo, anche perché i suoi impegni vengono fissati di cinque anni in cinque anni – troppo lontano. Cerco di non pensare agli impegni, a meno che non siano vicini. Diversamente si rischia di diventare schiavi del proprio lavoro”.

Intanto una sola data del 2015 è già nota. Ballo in maschera a maggio al Metropolitan. Il resto è da vedere. E sperare che una delle nuove date lo riporti in Italia. Magari in un recital, il modo migliore di apprezzare le qualità vocali e interpretative di questo cantante che non a caso è considerato uno dei maggiori interpreti del momento.

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