Ventisei tra Capi di stato e di governo, di cui sole tre donne, stanno per riunirsi a Buenos Aires, in Argentina, per il G20. Il summit, ospitato per la prima volta dalla nazione sudamericana e giunto al suo decimo anno, prenderà il via domani e si concluderà sabato. Il summit riunisce le 19 maggiori economie che generano l’85% del Pil mondiale, a cui si aggiunge il leader della Ue. Ma questo G20 è ‘allargato’ perché oltre alla Spagna – invitata di fisso a ogni G20 – il presidente argentino Mauricio Macri ha chiesto di partecipare anche a Cile, Olanda, Jamaica, Singapore, Ruanda e Senegal.
Questo G20 sembra anche ‘distratto’ dai numerosi incontri bilaterali (in primis quello tra Donald Trump e Xi Jinping ma anche tra Vladimir Putin e Mohammed bin Salman) e dagli eventi geopolitici (scontro Russia-Ucraina) ed economici più recenti (della Manovra, il premier Giuseppe Conte continuerà a discutere con il presidente della Commissione Ue, Jean Paul Juncker. In una città che da giorni si prepara al summit, le misure di sicurezza sono state portate ai massimi livelli. Non potrebbe essere altrimenti, specialmente dopo il caos e le violenze dello scorso fine settimana legate alla finale di ritorno (rimandata) della Libertadores tra River Plate e Boca Juniors. Il traffico ne ha già risentito ieri sera: per percorrere in taxi un tratto che generalmente richiede 15 minuti, serviva un’ora.
Sono 24mila le forze dell’ordine dispiegate a Buenos Aires, che in parte è diventata inaccessibile da ieri notte e lo sarà fino a domenica. Le linee della metropolitana resteranno chiuse, i treni e gli altri mezzi di trasporto pubblici non funzioneranno per tutta la durata dell’evento. Un fronte di 12 chilometri attorno al centro congressi Costa Salguero, nella parte del quartiere Palermo che si affaccia sul Rio de la Plata e dove i leader si riuniranno, sarà impenetrabile a meno che non si sia dotati di pass. Per questo Macri ha dichiarato la giornata di domani festa nazionale invitando i portenos (gli abitanti di Buenos Aires) a godere del lungo fine settimana per lasciare la città. Banche, mercati e uffici pubblici saranno infatti chiusi.
Gli esercizi attorno al celebre Teatro Colon saranno costretti a non aprire: là venerdì sera i leader avranno una cena di gala. Poi sabato si rimetteranno al lavoro fino alla diffusione di un comunicato e la conferenza finale con Macri alle 14:45 (18:45 in Italia). Un’ora dopo sarà Conte a parlare alla stampa italiana. Nella capitale argentina sono attesi migliaia di manifestanti di sinistra, che marceranno lungo 2,5 chilometri senza però potere raggiungere due luoghi chiave cari agli attivisti: l’Obelisco e Plaza de Mayo. Già ieri alcuni manifestanti hanno bloccato la principale arteria della città, Avenida 9 de Julio, lamentandosi per le misure di austerità adottate da Macri in un Paese in recessione e con l’inflazione al 45%.
Ad aumentare le preoccupazioni legate alla sicurezza è anche il principe saudita erede al trono Mbs, giunto già ieri a Buenos Aires nel giorno in cui un giudice argentino ha mosso i primi passi per occuparsi del caso sollevato martedì da Human Rights Watch. L’organizzazione no profit accusa Mbs di crimini contro l’umanità nella guerra in Yemen, di tortura nella sua nazione e dell’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi su suolo turco. Nonostante Trump abbia fino ad ora difeso Mbs, ieri il Senato ha espresso un voto per fare avanzare una legislazione volta a mettere fine al coinvolgimento degli Usa in Yemen.
Se Mbs e la sua delegazione sono giunti in città a bordo di sei aerei, contro la media di uno degli altri partecipanti al G20, il presidente americano e i suoi arriveranno su 10 aerei (che trasportano anche veicoli da terra ed elicotteri armati). Non è certo per la flotta più grande di tutte che Trump ruberà la scena. Di lui si attendono le mosse non solo con il russo Putin ma anche con il presidente cinese con cui cenerà sabato. I mercati attendono di capire se ci sarà una tregua commerciale o se l’incontro andrà così male da portare Washington a due mosse ulteriori contro Pechino: il rialzo da gennaio al 25% dal 10% dei dazi su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi, adottati lo scorso settembre; e il lancio di nuove tariffe commerciali per altri 267 miliardi. A quel punto tutti i beni cinesi in arrivo in Usa sarebbero sanzionati.
Contro un accentuarsi delle tensioni commerciali si è pronunciata ieri Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale. Il rischio è che esse facciano frenare l’economia mondiale più di quanto già non stia succedendo. Difficilmente, però, dal comunicato finale che verrà diffuso sabato ci sarà l’impegno esplicito a lottare contro il protezionismo, un must da quando si tenne 10 anni fa a Washington il primo G20. Se così fosse, la linea di Trump avrebbe vinto.