Il “metodo Renzi” per il Colle, tensioni con minoranza

Il “metodo Renzi” per il Colle, tensioni con minoranza
16 gennaio 2015

di Giuseppe Novelli

“Dovessi fare io la relazione, mi limiterei a insistere sulla necessità dell’unità del partito e sul profilo che vogliamo scegliere per il prossimo Capo dello Stato”. Alla vigilia della Direzione Pd, un autorevole dirigente del partito ridefinisce al ribasso le aspettative per l’intervento di Matteo Renzi. Il “metodo” che il segretario Dem dovrebbe quindi individuare oggi dovrebbe tenersi ben lontano dalle scelte tattiche che si riterranno di adottare, sulla base della situazione che ci si troverà ad affrontare.

Renzi dovrebbe quindi battere sul tasto della responsabilità, sull’obbligo di non replicare la performance del 2013. E probabilmente aggiungerà qualche altro aggettivo all’identikit del candidato perfetto: per lasciare agli osservatori l’esercizio del toto-nomi, e per lasciare intatte le speranze di chi – a torto o a ragione – si ritiene in lizza. Ma la replica a conclusione potrebbe dover prendere un’altra piega. La minoranza insiste nel chiedere di non aspettare la quarta votazione, ma di cercare “sul serio” un’ampia condivisione fin dai voti a maggioranza qualificata. Se mercoledì era stato Pier Luigi Bersani a porre la questione, ieri la riprende Stefano Fassina: “Mi preoccupa il fatto che il premier consideri perse le prime tre votazioni già da adesso, perché vuol dire che non è interessato a costruire una convergenza ampia e questo è un problema”. Dichiarazione che prelude alla strategia che la sinistra Pd prova a mettere in campo: “Dovremmo esplorare con disponibilità vera la possibilità di andare oltre il Patto del Nazareno. Mi preoccupa, invece, un atteggiamento per il quale avendo acquisito il consenso di Berlusconi, si ignorano forze politiche importanti”. Ovvero i grillini.

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Il timore invece è che, a dispetto dei richiami all’unità, sia proprio Renzi quello che parte dalla presunzione che esistano i franchi tiratori: “Fare uscire i numeri e addirittura qualche nome di chi voterà comunque contro l’indicazione del partito è offensivo”, dicono quelli che hanno parlato con Pierluigi Bersani. Che al di là del punto personale, ci vedono una strategia politica: “Potrebbe essere un alibi per blindare il patto del Nazareno, per far credere che si debba necessariamente passare di lì”. In realtà, ribadiscono i bersaniani, “dipenderà tutto dal nome che uscirà, non ci sono posizioni pregiudiziali. E dunque Renzi non può attribuirci l’etichetta di franchi tiratori”. Anzi, ci pensa Fassina a fare il nome che unirebbe: “Io Prodi lo voterei…”. Alla Direzione di domani la minoranza dunque porrà la questione, così come porrà la questione dell’Italicum, con una ventina almeno di senatori che potrebbero andare fino in fondo nell’opposizione alla nuova legge elettorale. E porrà anche la questione delle primarie: “Chi un anno fa era il più strenuto difensore delle primarie aperte, ora sembra voglio archiviarle… Vanno messe in sicurezza”.

Intanto, continuano le cene, gli incontri e i colloqui più o meno casuali. La riunione convocata lunedì da D’Alema (“Non c’entra col Colle”, assicura il diretto interessato), l’incontro tra Renzi e Vannino Chiti per provare a sminare la questione Italicum e non rendere ancora più complicato il passaggio del Quirinale, e il colloquio in un corridoio della Camera tra Roberto Speranza e Raffaele Fitto, il ‘ribelle’ forzista reduce da un faccia a faccia di un’ora e mezza con Silvio Berlusconi. Poco prima, l’europarlamentare forzista assicurava che non sono in corso contatti col Pd: “Io parlo con il mio partito. Se poi il mio partito dovesse decidere di suicidarsi…”.

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