di Maurizio Balistreri
Dietro il polverone che nelle ultime settimane sta offuscando la campagna elettorale di Donald Trump, nelle ultime ore sembrerebbe emergere una strada a cui nessuno, finora, osava pensare: la possibilità di un ritiro del miliardario prima del giorno delle elezioni. Secondo il diretto interessato la sua campagna non è mai stata così unita, il suo entourage nega, ma sulla stampa Usa si moltiplicano gli scenari su un voto di novembre senza Trump, pur tra mille avvertenze che si tratta di una eventualità assai remota. Secondo il network tv Abc, che cita fonti nelle alte sfere del Grand Old Party, alcuni dirigenti repubblicani avrebbe preso in esame il percorso da seguire in caso di ritiro di Trump, mentre i grandi giornali, come il Washington Post, rilanciano l’ipotesi, e il New York Times la affida ai calcoli di bookmakers. Fantascienza? No, ma solo per un motivo. Sin dall’inizio Trump ci ha abituati all’imprevedibile. Del resto, un anno fa nessuno avrebbe scommesso sulla sua vittoria alle primarie. Secondo Abc il Grand Old Party starebbe valutando tutti gli scenari, tra cui un ritiro del miliardario. Fino ad oggi nessun candidato si è ritirato dalla corsa alla presidenza, ma ci sono regole che indicano come comportarsi nel caso.
Per il partito repubblicano è previsto un percorso in caso di morte del candidato o di suo spontaneo ritiro. In questa eventualità i 168 membri del Republican National Committee si dovrebbero riunire e votare un sostituto, non necessariamente scelto tra i candidati alle primarie. Il regolamento contempla anche la possibilità di riconvocare la convention per la nomination del candidato, ma esclude che questa possa decidere di allontanare un candidato non più gradito, dopo il voto del delegati nella kermesse di Cleveland. Molto difficilmente il vertice del partito sceglierebbe un candidato che non piacesse al popolo di Trump, rischiando di perdere milioni di voti. E allora potrebbe attribuire la nomination al vice del miliardario, Mike Pence. Le ipotesi che circolano sulla stampa segnalano il caos in cui si trova il partito repubblicano, dopo i disastri combinati da Trump negli ultimi giorni: ha insultato la famiglia di un militare morto da eroe in guerra in Iraq, ha cacciato una mamma e un bambino (che stava piangendo) da un suo comizio, ha deciso di non appoggiare la rielezione del presidente della Camera Paul Ryan e del senatore John McCain e ha liquidato le vittime di molestie sessuali sul posto di lavoro consigliando loro di “cambiare carriera”.
Il miliardario, sfuggito da giovane alla leva militare, ha detto di aver ricevuto in regalo da un sostenitore un’onorificenza riservata a chi è ferito o morto in guerra, il Purple Heart, e ha commentato che ha gradito averla avuta in modo così “facile”. Una serie di incidenti che avrebbero convinto i maggiorenti repubblicani più vicini a Trump, l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani e l’ex speaker della Camera Newt Gingrich, a cercare di incontrarlo imprimere una svolta alla sua campagna elettorale. Ma con quali motivazioni Trump potrebbe dare l’addio al tentativo di scalata della Casa Bianca? Il Washington Post cerca di elencarle. La più forte è quella del timore di una sconfitta contro Hillary Clinton, la candidata del partito democratico in testa in tutti i sondaggi. Il miliardario infatti potrebbe scegliere di mandare al massacro un altro candidato repubblicano, conservando, pur con un trucco, la sua immagine di di vincente. Si tratta comunque di ipotesi di scuola, dato che Trump non ha dato alcun segno di volersi ritirare. Ma è anche vero che fino all’ultimo è impossibile prevedere le gesta di The Donald. (foto, Ronald Trump e Mike Pence)