Una giornata di lavoro, prima di salire al Quirinale per sciogliere la riserva, cosa che dovrebbe avvenire domani. Terminate le consultazioni, il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi lavora alla squadra dei ministri, senza avere altri contatti con i partiti. Una cosa che mette in una certa tensione i vertici delle forze politiche (quasi tutte) che sosterranno il governo. Nel giorno del via libera su Rousseau all’appoggio del M5s al suo esecutivo, il professore ha lavorato tra la sua abitazione e l’ufficio in Banca d’Italia, arrivando alla Camera nel pomeriggio e solo per pochi minuti. Al Colle potrebbe salire domani mattina, con la lista dei ministri, e giurare già nel pomeriggio. Se invece dovesse andare da Sergio Mattarella nel pomeriggio, il giuramento potrebbe slittare a sabato mattina.
Proprio la lista dei ministri agita i partiti, che sulla partita sono, al momento, totalmente al buio e senza margini di manovra.
“Oggi non ha chiamato, magari lo farà prima di salire al Colle”, assicura un esponente di vertice della maggioranza che sosteneva il Conte-due. Anche altri allargano le braccia sconsolati: “Silenzio, non sappiamo nulla”. Del resto era stato fatto trapelare nelle scorse ore che per comporre l’organigramma dei ministri sarebbe stato seguito scrupolosamente l’articolo 92 della Costituzione, secondo cui “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Ma non è solo questione di forma istituzionale: Draghi sa bene che se andasse a infilarsi in un confronto con le forze politiche sui nomi i tempi potrebbero allungarsi. Dunque al momento l’unica certezza pare quella che ci sarà un perfetto equilibrio di genere. Per il resto occorrerà aspettare.
“Il punto che dobbiamo avere chiaro è che tutti i partiti resteranno scontenti”, rileva un ministro uscente. Perché i nomi più pesanti saranno nella “quota Draghi”, scelti direttamente dall’ex presidente della Bce. Tra i nomi che circolano, Daniele Franco, direttore generale della Banca d`Italia, sarebbe in pole position per l’Economia; Marta Cartabia, ex presidente della Consulta, dovrebbe andare alla Giustizia; Paola Severino potrebbe essere destinata alla Pubblica Amministrazione (la cui riforma è una delle priorità indicate dal premier incaricato); Franco Locatelli potrebbe essere il nome tecnico per la Sanità; Elisabetta Belloni è la prima candidata per la Farnesina (con l’alternativa di Marta Dassù) mentre Enrico Giovannini potrebbe andare al Ministero della Transizione economica, ambito dai Cinque stelle.
Ai partiti, dunque, potrebbe restare poco, e comunque in dicasteri di secondo piano. Un po’ quello che ha ammesso oggi Nicola Zingaretti, avvertendo che nella composizione del gabinetto potrebbero esserci “condizioni inedite”. “Chiediamo una squadra autorevole, che rispetti il pluralismo politico e la differenza di genere”, ha detto, assicurando però che alle decisioni di Draghi “ci atterremo”. Del resto alternative non sembrano esserci, per nessuno. askanews