Il governo Draghi ieri ha ottenuto al Senato 95 voti a favore alla fiducia. Pochi i partecipanti al voto, (133) sufficienti a non far mancare il numero legale come si era temuto inizialmente ma numeri talmente bassi da certificare in modo evidente che non esiste più una maggioranza a sostegno del governo dell’ex banchiere centrale. Ciononostante il premier salirà soltanto oggi al Quirinale per dimettersi, e alle 9 si recherà invece alla Camera dove è fissata la seduta per il dibattito fiduciario. A quanto viene spiegato il passaggio di Montecitorio non è richiesto da un punto di vista formale ma è da parte di Draghi un atto di cortesia istituzionale visto anche che non è stato ufficialmente sfiduciato al Senato.
La giornata convulsa di ieri in cui si sono alternate nelle ore i più diversi scenari (Draghi bis senza M5s, stesso governo, rimpasto) non ha portato al risultato sperato dal Capo dello Stato che pure si è speso in prima persona ricevendo le telefonate di tutti i leader politici. Berlusconi e Salvini in particolare hanno tenuto a far sapere di aver informato Mattarella delle decisioni prese dal centrodestra di governo. Mattarella per evitare questo epilogo aveva offerto cinque giorni di tempo per arrivare in Parlamento con una via d’uscita ma i veti incrociati delle forze politiche che hanno cercato di rimpallarsi la responsabilità della caduta del governo di unità nazionale hanno solo dato modo all’ex banchiere centrale di sottrarsi al gioco della campagna elettorale, “parlamentarizzando” come Mattarella aveva chiesto, le contraddizioni che lo avevano spinto ad aprire la crisi.
Il M5s da un lato, che fino a oggi non ha chiarito la sua posizione sulla fiducia, al Senato ieri ha provato a smarcarsi dicendo che sono stati gli alleati a cacciarli. E il centrodestra dall’altro, che si è sentito “provocato” dalle critiche di Draghi in aula, ne ha tratto lo spunto per capitalizzare subito il consenso maggioritario che i sondaggi gli assegnano con le elezioni anticipate. Il premier quindi, salvo sorprese, rassegnerà le dimissioni in mattinata subito dopo l’apertura della seduta di Montecitorio e nei prossimi giorni il Presidente della Repubblica avvierà l’iter previsto dalla Costituzione: prima consulterà i presidenti delle Camere poi predisporrà il decreto di scioglimento delle Camere. Non prima della prossima settimana comunque. Per sciogliere le Camere infatti bisognerà tener conto del calendario: le elezioni si indicono con decreto del governo entro 70 giorni dopo lo scioglimento del Parlamento. Si voterà infatti il 25 settembre prossimo