di Filippo Caleri
Il bonus di 80 euro, il Jobs Act e le riforme uscite dal Parlamento non hanno dato evidentemente lo sprint alla macchina produttiva italiana. Che è un meccanismo che più di annunci ha bisogno di una guida e di una politica industriale. Non solo. A mancare sono anche le spese dei consumatori. Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), più che compensato dall’apporto positivo della componente estera netta. Dunque l’iniezione di fiducia di Renzi non ha convinto gli italiani a lasciarsi andare alle spese pazze, e nemmeno a quelle appena fuori l’ordinario. Con la chiusura dei quattro trimestri, l’Istat fornisce anche la prima stima dell’intero 2015 (quella ufficiale arriverà a marzo. Ed è un’altra mazzata per l’ottimismo renziano: la variazione annua del Pil, calcolata su dati trimestrali grezzi, è pari allo 0,7% (ma scende allo 0,6% se si corregge il dato per gli effetti di calendario). Un dato che è inferiore al +0,9% indicato dal governo nella Nota di aggiornamento al Def e anche alla previsione dello 0,8% indicata a dicembre dall’Istat stesso. Ora quando Renzi presagì che la crescita non sarebbe arrivata all’1% come postulato nel Def del 2015 spiegò che non era un problema di zero virgola ma di tendenza e di velocità della risalita. Un ragionamento che cozza oggi con il fatto che lo 0,7% è il 30% in meno della stima. Per il premier resta solo una consolazione. Magra ma meglio che niente: nel 2015 comunque il Pil torna al segno positivo dopo tre anni consecutivi in negativo (-2,8% nel 2012; -1,7% nel 2013; -0,4% nel 2014). Solo piccoli segnali ma zero trionfi. Insomma come segnala la Confesercenti: “L’Italia sembra aver archiviato la fase più difficile della crisi ma è rimasta congelata in una fase di stabilizzazione dei livelli di attività senza che vi siano le premesse per un’accelerazione a breve”. Insomma quasi stallo.