All’apparenza erano perfettamente integrati nella società italiana, in realtà erano affiliati all’Isis e sul web facevano azione di proselitismo per lo Stato Islamico, esaltando la jihad e incitando all’uso delle armi. Inoltre si scambiavano messaggi e chat con minacce pesanti nei confronti di importanti organi istituzionali, a compresa la presidente del consiglio Giorgia Meloni, e dello stato di Israele. Quanto è bastato per far scattare la duplice accusa di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo e di istigazione a delinquere con finalità di terrorismo. In manette sono finiti due egiziani, residenti da molti anni nell’hinterland milanese: un piccolo imprenditore edile nato nel 1974 e arrivato in Italia nel 2008, in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, e un muratore – classe 1979 – approdato nel Belpaese nel 2001 e in possesso di cittadinanza italiana.
L’operazione dell’antiterrorismo milanese “capita in un momento particolare – ha sottolineato il procuratore Marcello Viola – ed è spia di una situazione di gravità sotto gli occhi di tutti, come dimostra anche l’attentato di Bruxelles”. Il blitz, scattato all’alba di questa mattina, è il coronamento di un’indagine partita nel 2001, grazie a un’attività di monitoraggio sul web condotta dalla Polizia Postale di Perugia. Il fascicolo a carico dei due egiziani residenti nel Milanese è poi stato trasferito nel capoluogo lombardo per competenza territoriale. Gli approfondimenti da parte degli specialisti dell’antiterrorismo della Digos, condotte anche anche con uno strumento “invasivo” come il trojan, hanno fatto emergere che i due erano entrambi particolarmente attivi su gruppi Telegram e WhatsApp con centinaia di iscritti soprattutto nelle zone più calde del Medioriente.
E’ stato il più anziano ad aver “indottrinato” il più giovane, al punto da spingerlo a prestare il “giuramento” di fedeltà e sottomissione allo Stato Islamico. Un’attività di proselitismo e indottrinamento poi proseguita anche nei confronti dei figlio minorenne di uno degli arrestati. Tra gli atti di indagine sono finiti messaggi pieni di messaggi di odio verso l’Occidente e Israele, canali social dove venivano anche condivisi foto e video definiti dagli inquirenti “violenti e raccapriccianti”: come quelli che immortalando alcuni bambini-soldato dello Stato Islamico mentre giustiziano a colpi di pistola infedeli e nemici dell’Isis. “Questo è indice dell’attenzione quasi morbosa dell’Isis nei confronti dei bambini che in modo ricorrente vengono addestrati all’uso di armi e alla violenza”, ha evidenziato il pm di Milano Alessandro Gobbis, titolare del fascicolo di indagine.
I due arrestati erano esperti nell’uso delle armi, competenza rivendicata in particolare da uno di loro, e si sarebbero resi anche protagonisti di iniziative di finanziamento al terrorismo: le indagini hanno fatto emergere numerosi versamenti (per un totale di circa 4 mila euro) a favore di vedove e orfani di combattenti dell’Isis tra Iran, Yemen, Palestina, Libano ed Egitto. Uno di loro stava organizzando un viaggio in Turchia, tradizionale porta di accesso per la Siria e il Medio Oriente. “Non abbiamo riferimenti concreti e diretti di pianificazione di attentati – ha spiegato ancora il pm Gobbis – ma una continua azione di esaltazione e di istigamento a passare all’azione. Chi compie un’attentato lo fa proprio perchè spinto e determinato da questi gruppi”.