Prima di tutto, evitare un governo che graviti intorno ai Cinque Stelle. E il motivo è semplice: nelle aperture M5s, l’unico sistematicamente ignorato è proprio lui, Silvio Berlusconi. Poi essere il primo partito del centrodestra, avere un gruppo di parlamentari abbastanza consistente da renderlo centrale e indispensabile. E poi si vedrà. E tra un governo della coalizione con Lega e Fdi, e uno di larghe intese con Pd e centristi, ancora non si sa quale sia il piano A e quale il piano B, quale sia davvero l’opzione preferita dall’ex Cavaliere. Che per queste elezioni ha (almeno per ora) ceduto la premiership Fi al presidente Ppe dell’Europarlamento Antonio Tajani. Perché a 24 anni dalla discesa in campo, per la prima volta Berlusconi non solo ha dovuto abdicare al ruolo di candidato premier, ma addirittura vede la sua leadership nel centrodestra davvero minacciata. Con Matteo Salvini che rischia di essere incoronato nelle urne leader dello schieramento, e comunque con la somma di Fratelli d’Italia e Lega probabilmente superiore ai voti di Forza Italia. Una condizione nuova, per Berlusconi, abituato a regnare incontrastato nel suo campo. E allora il concetto di “vittoria”, stavolta, potrebbe doversi declinare diversamente dal solito. Certo, l’affermazione del centrodestra con Forza Italia sopra il 20% che stacca la Lega e FdI, sarebbe una vittoria.
Ma quante probabilità ci sono che finisca così, se anche Raffaele Fitto – nell’ormai celebre fuorionda al tempio di Adriano – pronostica la Lega primo partito? E in quel caso, Berlusconi accetterebbe il ruolo di portatore d’acqua alle politiche antieuropeiste e di destra di Salvini? O comunque di condividere il timone con un alleato tanto ingombrante? Perché le divergenze emerse in campagna elettorale – seppur minimizzate e spiegate con la ‘competition’ proporzionale – sono tante, e ribadite pure nell’unico appuntamento unitario faticosamente organizzato, quello al Tempio di Adriano. Dove tutti, a parole, si sono detti indisponibili ad altre maggioranze. Ecco che allora il cosiddetto ‘piano B’ potrebbe forse essere il ‘piano A’, nella testa del Cavaliere. Un Pd che tiene, anche nei collegi, prima di tutto per bloccare i Cinque Stelle, e poi per avere la massa critica parlamentare necessaria a formare una maggioranza appunto con Forza Italia, con la quarta gamba del centrodestra, con gli alleati del Pd e – chissà – con qualche maroniano ‘in incognito’ inserito nelle liste della Lega. Ma, nello spirito proporzionale del Rosatellum, tutto passa innanzitutto per il risultato di Fi. La linea Maginot dell’ex Cavaliere resta quella di essere, a distanza di 22 anni dal 1994 e con più di 80 primavere sulle spalle, ancora determinante nelle consultazioni al Quirinale.