Per rimettere un po’ d’ordine ci vuole l’intervento di Berlusconi: “Da 20 anni anni – scrive in una lunga nota – ci impegniamo in solitudine per dare al nostro Paese istituzioni che garantiscano democrazia, efficienza e governabilità. Per la prima volta (ma meglio tardi che mai) riscontriamo la volontà di altre forze politiche di concorrere davvero a quel percorso di riforme che abbiamo lungamente auspicato. Per tali motivi, ho invitato ed invito i nostri deputati e i nostri senatori a sostenere convintamente questo percorso, a cominciare dalla riforma che riguarda il Senato, che sarà seguita dalla discussione e approvazione della nuova legge elettorale e dalla riforma del Titolo V”. Di certo lo scontento nel partito rimane. E l’ex Cavaliere prova ad assecondarlo con la seconda parte della nota: “Avremo modo di affrontare insieme queste riforme, di migliorarle e di ampliarne, ove possibile, gli ambiti e gli obiettivi”. Come a dire: facciamo andare avanti il testo al Senato, possiamo sempre correggerlo in seguito. Infine, una garanzia per chi chiede un’opposizione più severa a Renzi: “Forza Italia resta convintamente all’opposizione non condividendo la politica economica e la politica sulla giustizia sinora messe in atto da questo esecutivo”.
Probabilmente era necessaria una presa d’atto del genere dopo che giovedì, nel vertice dei gruppi, erano emerse tutte le spaccature nel partito. Ma le divisioni restano, se è vero che ancora ieri i vari Minzolini, Bonfrisco e Caliendo ribadivano il loro “no” ai senatori non eletti ma “pescati” nei Consigli regionali e avanzavano il sospetto: “Non è che Renzi ha tutta questa fretta di far passare la riforma del Senato perché poi vuole andare a votare in primavera?”.
Le firme sotto il documento di Minzolini sono di 37 senatori azzurri, anche se c’è chi giura che, di fronte a un “ordine” contrario di Berlusconi, il numero di chi andrebbe comunque allo scontro si ridurrebbe alla metà. Abbastanza, in ogni caso, per far tremare l’accordo, se è vero che i “frondisti” sarebbero pronti ad allearsi con i dissidenti Pd (Mineo in testa), con i Popolari di Mauro, apertamente schierati contro l’intesa, e persino con qualche scontento del Nuovo Centrodestra. Come Antonio Azzolini e, soprattutto, Paolo Naccarato, che ieri ha comunicato ad Angelino Alfano le sue dimissioni dal Gruppo di Ncd al Senato. Anche il cammino dell’Italicum potrebbe essere piuttosto accidentato, con Gaetano Quagliariello di Ncd che ha già comunicato che se non cambieranno alcuni punti dell’accordo – in primis preferenze e soglie – il suo voto alla riforma elettorale sarà contrario. Si annunciano tempi duri per Renzi: l’effetto 40% sembra già essersi indebolito.