Editoriale

E ora il governo Conte 2 teme le elezioni in Calabria

Poco più di venti minuti di Consiglio dei ministri per non decidere nulla. Tutto rinviato, per le elezioni Regionali in Calabria. Il Conte 2, prende tempo e stabilisce che i calabresi potranno eleggere il loro nuovo presidente della Regione tra la prima domenica utile, quella del 14 febbraio, e l’ultima disponibile quella del 10 aprile. Un arco temporale di ben due mesi, mandando alle ortiche la norma che prevede le elezioni entro 60 giorni dallo scioglimento del Consiglio regionale, la cui ultima seduta è convocata per oggi. In sostanza, si sarebbe potuto votare il 13 o il 20 dicembre, invece il governo potrebbe aprire le urne nientemeno ad aprile. In Calabria si dovrà votare di nuovo dopo la prematura scomparsa di Jole Santelli, la governatrice di Fi, morta all’età di 51 anni nella notte tra il 14 e 15 ottobre scorsi.

Il governo giallorosso ha fatto anche orecchie da mercante alla richiesta del presidente del Consiglio regionale, Domenico Tallini, e del governatore facente funzioni, Nino Spirlì, i quali con una lettera all’esecutivo avevano proposto le date del 17, 24, 31 gennaio, o, come ultima ipotesi, il 7 febbraio. “Il governo non può mettere tra parentesi la democrazia, non può tenere un territorio in stand by per mesi e mesi – avevano scritto -. L’esecutivo deve dare la possibilità al Consiglio regionale di indire le nuove elezioni, e la macchina amministrativa si deve mettere in moto per garantire un voto in sicurezza, e nel rispetto di tutti i protocolli anti-Covid previsti”. Contro l’ipotesi di un rinvio si era già schierato compatto il centrodestra. Anche i deputati e i senatori calabresi di Fi avevano fatto sentire la loro voce, ma invano: “In un momento delicato come quello che stiamo vivendo, la Regione ha bisogno di una guida forte, autorevole, legittimata politicamente dal popolo sovrano”.

Insomma, sembra aver vinto la linea zingarettiana. Infatti, secondo fonti governative, non ci sarebbe stata una posizione unitaria in sede di Cdm, nel senso che l’ala più tecnica, che sarebbe espressa dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, puntava almeno su urne a marzo; quella politica, ed in particolare quella del Pd, avrebbe preferito addirittura un rinvio a maggio. Da qui, sarebbe scattata la mossa democristiana del premier, Giuseppe Conte. Questa, invece, è la motivazione ufficiale di Palazzo Chigi: “Si rende necessario in considerazione dell’evolversi della situazione epidemiologica da Covid-19 e della conseguente necessità di assicurare che le consultazioni elettorali si svolgano in condizioni di sicurezza per la salute dei cittadini”.

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