di Antonio Angeli
Tra tre giorni, precisamente mercoledì 15 luglio, Massimiliano Latorre dovrà tornare in India, scade infatti il suo permesso per malattia, ottenuto e poi prorogato dopo l’ictus che lo ha colpito il 31 agosto 2014. Questa sembra essere l’unica certezza in una vicenda che, ormai da più di tre anni, va di male in peggio. E al calvario che devono sopportare i due difensori della pace, quella vera, non quella delle becere bandierine arcobaleno, si aggiunge la beffa di chi, italiano, non solo non li difende, ma si fa beffe di loro. Come il segretario di Rifondazione comunista di Rimini, Paolo Pantaleoni, che sul suo profilo facebook, l’altro giorno, ha postato la frase: “Ma non è ora che impicchino i due marò?”. Naturalmente Pantaleoni è stato seppellito dalle proteste e dalle reazioni sdegnate dei veri italiani. Ma non ha smentito quel post, chiamato in causa dalla stampa locale ha anzi sostenuto le sue ragioni, spiegando che l’affermazione “sarebbe dovuta essere ironica (almeno nelle mie intenzioni) rispetto all’impiccagione dei marò. Credo – ha aggiunto il politico di Prc – che prendersi troppo sul serio non faccia vivere bene così credo che l’ironia soggettiva non debba sempre piacere a tutti. D’altronde non ho scelto di fare il comico, per quello ci sono Grillo e Renzi”.
Ha poi chiarito che la sua era una battuta, perché è contrario alla pena di morte, però ritiene che i marò “debbano essere processati in India per i gravi crimini di cui sono imputati”. Alla fine non ritratta, ma cancella la frase dal suo profilo. Un atteggiamento che si allinea in modo perfetto alla gran quantità di gaffes, incertezze, manovre maldestre e semplici figuracce che si sono succedute in questi anni. Il caso dei marò, due militari imbarcati su una nave in acque internazionali, e per questo territorio italiano, nasce da un politica ondivaga e incerta, portata avanti da tre presidenti del Consiglio, un commissario straordinario, tre ministri della Difesa più cinque degli Esteri, uno dei quali (Emma Bonino) arrivò perfino ad affermare che noi italiani non sapevamo se i marò sono colpevoli o innocenti. E invece noi lo sappiamo: sono innocenti, perché le tante indagini, con prove balistiche fatte dagli indiani, senza avere alcuna competenza sul caso, hanno sempre portato alla stessa conclusione: non sono stati loro.
Lo scorso 4 luglio la Corte Suprema di Nuova Delhi ha ancora rinviato la data dell’esame del ricorso dei fucilieri: il dibattimento è perciò slittato al 4 agosto. Era stato inizialmente fissato al 28 aprile, poi rinviato prima al 7 e poi al 14 luglio, e ora di nuovo al 4 agosto.
Non sono state date spiegazioni per questo ennesimo rinvio, ma la decisione è chiaramente in relazione con la decisione presa dall’Italia, come annunciato in un comunicato della Farnesina, di attivare finalmente l’arbitrato internazionale “a conclusione della necessaria fase negoziale diretta con l’India e nell’impossibilità di intervenire ad una soluzione della controversia”. L’arbitrato è un’arma forte, nelle questioni di questo tipo, e il suo possibile utilizzo era stato messo da parte nel marzo del 2013, quando il governo Monti rispedì in India i due marò (con le conseguenti dimissioni dell’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi). Non si può che constatare che sono stati perduti due anni.
Si presume che gli avvocati dei marò presentino ai giudici del massimo tribunale indiano un’istanza per l’ottenimento del rinnovo del permesso di residenza in Italia. Intanto dal 15 febbraio 2012, data del mai chiarito incidente in alto mare, sono passati 1243 giorni.